4. SCHELETRI

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"Quindi, dov'è che stiamo andando?" chiesi serio, ancora frastornato dalla notte precedente.

"Non ne ho idea. Vediamo dove andiamo a finire, okay?" Levi rispose tranquillo, imboccando l'autostrada e allungando la mano versa la mia. Mi feci indietro non appena sentii le sue dita gelide lambire il mio palmo caldo. Il cuore mancò un battito. Quella reazione imprevista mi aveva colpito. Adoravo sentirlo su di me, sapevo che era così, ma a quanto pare i rimasugli di quanto accaduto giocavano ancora con i miei pensieri.

"I- Io... Non posso. È solo che..." cercai di arrabattare qualche spiegazione, ansioso di non ferire Levi più di quanto non avessi già fatto, ma lui mi silenziò, alzando tra di noi la mano che era destinata alla mia.

"Calma, Eren. Lo capisco. Scusa se mi sono spinto troppo in là." Levi mormorò. Gli occhi carichi di sincerità. Aveva compreso di aver corso troppo. Io mi sentivo in colpa per non essere emotivamente disponibile, ma semplicemente non ci riuscivo. La ferita era ancora fresca. Volevo solo afferrargli la mano e dimenticare che la scorsa notte, ma sapevo che arrivarci avrebbe richiesto uno sforzo da parte di entrambi. Levi aveva tante mura attorno a sé e per quanto mi avesse permesso di scalarne parecchie c'erano ancora tante cose che lo tormentavano al di là di quanto mi lasciasse vedere. Avevo capito tra un singhiozzo e l'altro che non avrei mai potuto aiutarlo se non fossi stato conscio di ciò che davvero lo minacciava. Ricordavo qualcosa da Asheville, ma Levi era stato ben attento a non tornare sull'argomento. Da quando il sole della California si era stagliato sulle nostre vite, Levi aveva seppellito i demoni che combatteva quando l'avevo conosciuto, ma neanche per un secondo avevo pensato che se ne fossero andati. Erano troppo vividi nei suoi occhi tristi. Nelle tentazioni in cui faticosamente non cadeva, o meglio non era caduto fino al giorno prima. Tenni lo sguardo fisso sul parabrezza quando gli feci quella domanda che mi aveva annodato la lingua da quando eravamo usciti dall'istituto.

"Raccontami della tua vita a New York, prima di Asheville. Cosa facevi?" il mio tono fintamente innocente gli provocò la risata più cupa che gli avessi mai sentito fare. Scosse la testa, distorcendo la bocca in un sorriso amaro. Gli occhi fissi sulla strada erano comunque eloquenti.

"Oh, Eren, tu non vuoi veramente saperlo, credimi."

"Se non volessi saperlo, non chiederei. Sono stanco di fingere che il nostro passato non esista. Guardiamoci in faccia e siamo sinceri una volta tanto. Dimmi tutto. Niente segreti. Niente demoni. Non devono rimanere scheletri nell'armadio dopo questa conversazione." ero decisamente al limite, ma un'esplosione di rabbia non era quello che mi sarei aspettato una volta che avessi finito la
pazienza. Ero convinto che mi sarei frantumato. Mi sentivo come un bicchiere di vetro tenuto insieme da una striscia di nastro adesivo. Un respiro sbagliato e mi sarei spezzato senza possibilità di riparo. D'altro canto, capivo che Levi era nella stessa situazione. Anzi, lui si era già rotto. Aveva iniziato a cadere a pezzi quando era andato a quel maledetto molo. Oppure le sue impalcature avevano cominciato a cedere molto prima e io l'avevo ignorato. Quell'ipotesi mi raggelò il sangue nelle vene. Niente mi toglieva dalla testa che Levi avesse bisogno di sputare fuori il veleno che contaminava il suo sangue. E io avevo bisogno di succhiarlo via da lui. Di uccidere qualunque cosa minacciasse di uccidere lui.

"Okay," prese un respiro profondo e sofferto per poi guardarmi brevemente. "Tutto?" chiese, visibilmente agitato.

"Tutto." insistei, resistendo all'impulso di lasciar perdere per non farlo soffrire. Levi accettò senza proteste. Lo vidi stringere il volante e inalare un respiro affilato per attutire la fatica che si preparava a fare. Solo il suono fermo della sua voce mi trattenne dal fermare tutto e continuare sul cammino dell'oblio che avevamo intrapreso.

"Okay. Ho sempre saputo che quello che facevo era pericoloso e in parte l'ho fatto per quello. Cercavo di uccidermi. E dall'altra parte, lo facevo perché per un po' riuscivo a stare meglio. Riuscivo a non pensare allo schifo che dovevo sopportare a casa." Levi chiuse gli occhi per un secondo, come a scacciare immagini non volute che gli si ripresentavano in testa. "La situazione era brutta, Eren. Davvero brutta." spiegò, a corto di fiato. L'espressione stoica minacciata da cicatrici che a quanto pare non si erano rimarginate del tutto.

JUST FIVE DAYS (TRADUZIONE ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora