15. E POI SEGUONO QUELLE PEGGIORI

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Era stato un giorno davvero pesante a scuola. Mi ero impegnato al massimo per evitare le persone che mi avevano preso di mira, ma più il giro si allargava, più diventava difficile farmi invisibile. Per questo mi ero sbrigato a fare tutti i compiti e avevo finito in fretta il turno al mio nuovo lavoretto part - time. Mentre stavo al cassa di El Taco, l'unica cosa che volevo fare era tornare a casa, prepararmi per andare a letto e chiamare il mio fidanzato. E ora finalmente si era fatta sera ed io ero nella mia camera, pronto per dimenticare con la voce di Levi l'ennesima giornata storta. Peccato che la segreteria rispose al suo posto. Era la prima volta che non lo trovavo al telefono. Immaginai che fosse ancora sotto alla doccia, così attesi qualche minuto prima di riprovare. Il secondo saluto della segreteria mi diede i brividi. Qualcosa non andava. In un giorno qualsiasi, non mi sarei preoccupato così, ma il mio stomaco non voleva smettere di rivoltarsi in preda ad una malsana sensazione. Al bip della voce registrata, lasciai un messaggio.

"Hey, amore, sono io. Chiamami." dissi piano, prima di chiudere la chiamata. Provai per un'ultima volta, succube dell'ansia, ma ancora nulla. Con un sospiro ansioso mi alzai e mi diressi in bagno. Cercai di concentrarmi sulla mia routine serale prima di tornare a letto. Una volta finito, la preoccupazione non era scesa neanche di un millimetro. Mentre mi infilavo sotto alle coperte, mandai un messaggio a Isabel e Farlan chiedendogli se avessero sentito Levi e se andasse tutto bene. Prima di addormentarmi, tolsi il silenzioso e impostai la suoneria a tutto volume.

Sussultai quando gli squilli del mio telefono mi svegliarono di soprassalto. Era mezzanotte, il che significava che da Levi erano già le tre di notte. Risposi immediatamente.

"Levi." sospirai sollevato.

"Tesoro." biascicò. "Mi dispiace." il suono della sua voce mi arrestò i battiti cardiaci.

"Cos'è successo?" lo implorai.

"Non sono fatto." Levi iniziò a spiegarsi lentamente. Il suo naso sembrava chiuso, come se avesse pianto. "Sono solo sbronzo. Molto, molto sbronzo."

"Levi, mi predi per il culo?!" sbottai. "Ti sei perso la nostra chiamata per poterti sballare? Pensavo che fossi morto in mezzo a una strada. Ero preoccupatissimo!"

"Mi dis-piace." Levi singhiozzò. Le parole spezzate da vari singulti.

"Non ci posso credere! Come hai pot-"

"E' morta, Eren. Potevo scegliere tra la Vodka o un flacone di pillole."

Rimasi senza parole. Seduto in un silenzio di morte, totalmente strangolato da quell'assenza di suoni. Sentii le lacrime appannarmi gli occhi. Dovevo andare da lui. Ripreso da quei secondi di paralisi, scattai in piedi, infilando nello zaino un paio di vestiti, i prodotti da bagno e il caricatore del telefono. Tutto rigorosamente alla rinfusa.

"E-Eren, sei ancora lì?"

"Sì." sussurrai senza aggiungere altro. Ero completamente sotto shock.

"Mi dispiace." Levi pianse attraverso il telefono.

"Prendo il prossimo volo in partenza."

"N-No, Eren. Pos-Posso gestirla-" Levi provò a parlare prima di scoppiare ancora in lacrime. "Credevo che l'avrei vista ancora. Credevo di aver avuto abbastanza preavv-" rantolò, tossendo e strozzandosi con il suo pianto.

"No, Levi, non hai una cazzo di scelta al momento. Io adesso vengo lì." sibilai tra le lacrime che mi bagnavano il viso. Avvertii un enorme istinto di protezione farsi vivo insieme all'aggressività che macchiava le mie parole.

"Ma t-tu hai.. scuola e poi tu-tua madre e...Mi- Mikasa..." Levi ansimò, cercando inutilmente di stabilizzare i suoi respiri erratici. Non volevo altro che stringerlo. Riuscivo quasi a sentire il suo corpo tremare attraverso il telefono.

JUST FIVE DAYS (TRADUZIONE ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora