36. TI PREGO

240 22 6
                                    

Ero così stanco di essere triste. Era passata quasi un'intera settimana dalla notizia di Marco e dal trasferimento di Jean. Il weekend successivo l'avevo passato ad annegare nelle lacrime accanto ad Armin, altrettanto disperato. Ogni singhiozzo era per i nostri amici perduti e per il calore di Levi il cui ricordo cresceva man mano che la distanza tra di noi aumentava. Era come se una lastra appuntita di tristezza e sconforto fosse conficcata nel petto. La sentivo pungere ad ogni respiro, ad ogni pianto trattenuto, ad ogni singulto che lasciavo scappare dalle labbra stanche. Era un dolore che non credevo di poter provare la cui intensità era solo pari all'amore che provavo per il corvino. Passavo le giornate in camera fatta eccezione per le lezioni e i pasti e sapevo che Levi faceva altrettanto. La cosa straziante del saperlo nella camera accanto non era solo la consapevolezza che ci fosse un muro sottile a dividerci. Lottavo costantemente contro all'impulso di abbattere quella parete per correre da lui, ma allo stesso tempo avrei voluto solo che fosse più spessa perché attraverso quel divisorio potevo sentire Levi piangere. Ogni volta che mi chiudevo in stanza mentre gli altri uscivano nella sala comune mi premevo contro al muro freddo e ascoltavo i suoi pianti più o meno soffocati. Tremavo al pensiero che tra le lacrime potesse approfittare dell'assenza dei compagni per marchiare le sue braccia. Quel che era peggio è che in mezzo gli altri, Levi era di una freddezza inquietante. Mai una volta avevo il visto il viso duro ammorbidirsi in una qualsiasi espressione umana. Sapevo che il corvino era bravo a costruire le proprie maschere, ma sentivo che quella non era la solita facciata di indifferenza che indossava così bene. Su quel volto vedevo il vuoto della disperazione. Avevo provato a sbirciare i suoi polsi, ma complice il freddo di Dicembre, il suo corpo era perennemente coperto da felpe pesanti. Lo osservavo guardare i suoi piatti vuoti ad ogni pasto con gli occhi rivolti verso le proprie mani incrociate. E non so quante volte i miei occhi perennemente lucidi si fermavano su di lui, attirati da quell'ombra che aveva ancora qualche parvenza del mio ragazzo, ma Levi non mi aveva più rivolto la parola dalla sera di Marco.

E così i giorni erano passati ed io ero semplicemente stanco di apparire come uno spettro, saturo di una negatività che mi risucchiava l'anima. Non ero sicuro di quanto riuscissi a stare ancora lontano da lui e quel giorno il fuoco mi infiammò le vene mentre lo Staff ci radunava per la pausa pranzo. Camminavo svogliatamente per il corridoio quando lo vidi entrare nel bagno. Le gambe agirono più tempestivamente del cervello. In pochi passi mi ritrovai di fronte a lui, troppo concentrato nel lavarsi le mani. Mi bastò fermarmi a pochi centimetri per ritrovarmi il suo sguardo addosso. Gli occhi plumbei solcati da occhiaie profonde si incastrarono nei miei. L'espressione sempre indecifrabile mi mandò in tilt.

"Senti, noi due dobbiamo parlare. Sei strano e io ti ho dato un sacco di tempo e di spazio." mi ritrovai a parlare. La voce animata dalla frustrazione era più alta del dovuto. Posai le mani sulle sue spalle, ma Levi sussultò e mi scacciò con un movimento rapido, come se fosse stato toccato da un ferro incandescente. Quello fece più male di quanto pensassi. "Ecco, tipo adesso. Perché diavolo fai così?" sbottai.

"Eren, piantala. E non parlarmi." Levi bisbigliò. Roteò gli occhi in tutte le direzioni, controllando bene alle mie spalle. "Lui mi sta guardando." sussurrò ancora. Avvertii chiaramente un brivido lungo la schiena. La paura nella voce tremante di Levi mi gelò sul posto per un attimo, ma il secondo successivo ero di nuovo preda degli istinti. Odiavo vederlo così, odiavo non sapere nulla. Odiavo quelle conversazioni senza senso e quel dannatissimo spazio tra i nostri corpi.

"Chi è che ti sta guardando?" domandai, stampando i palmi sulla parete del bagno ai lati della testa del corvino che si appicciò con la schiena al muro. Era in trappola e mai più avrei voluto farlo sentire così, ma il tempo di starmene a guardare impotente la nostra vita andare a rotoli era decisamente finito. "Che cazzo di risposta è mai questa? Chiunque sia lo ammazzo, Levi. Anzi perché non l'hai ancora fatto tu? Sei la persona più forte che conosco." sibilai tra i denti. Levi mi guardò intensamente. Sentii che passava ai raggi laser la mia mascella serrata e il solco adirato tra le sopracciglia. Lasciai che valutasse la mia espressione, del tutto intenzionato a trasmettergli fino all'ultimo briciolo di quello che sentivo. Levi tintinnò per un attimo, ne ero sicuro. Gli occhi tremarono nel dubbio, scontrandosi con i miei. Ero quasi sicuro che avrebbe ceduto quando con un sospiro tentò di nuovo la fuga.

"Ascolta anche se volessi dirtelo non potrei. Stammi lontano. Non so cosa potrei arrivare a farmi se ti facessero del male per colpa mia." sgusciò rapido sotto al mio braccio, fendendo l'aria con una falcata frettolosa, ma non fu abbastanza veloce da sfuggire alla mia presa. Gli strinsi forte il polso e lo costrinsi a girarsi di nuovo verso di me. Lo sentii tirare però la resistenza si arrestò quando recuperai il contatto visivo con lo sguardo vagamente stupito.

"Se mi capita qualcosa la colpa è solo mia, dannazione! Dimmi cosa sta succedendo!" parlai tra i denti, rafforzando la presa sul suo polso. Quella stretta mi ricordava i suoi tagli e l'acido nello stomaco mi annebbiava la mente. Neanche i suoi deboli tentativi di liberarsi mi restituivano la lucidità. Tuttavia sentii la tristezza tornare quando le sfumature argentee dei suoi occhi brillarono di lacrime appena accennate e la sua voce bassa uscì tormentata e flebile.

"Ti prego lasciami andare. Per favore. Faccio tutto questo solo perché ti amo. Ti prego stai lontano da me." le ultime parole si spezzarono insieme alle mani che avevano iniziato a tremare tra le mie. Non so come resistetti all'impulso di prenderlo e portarlo via, uscire da quel dannato istituto e perderci tra i boschi. E invece non potevo aggiustarlo né asciugare le lacrime che non volevano scendere o porre rimedio al terrore che infestava il suo viso perfetto.

"No, non ti lascio. Essere ignorato da te è il male peggiore che possa esserci quindi non ho motivo di preoccuparmi di altro, credimi." parlai sinceramente, buttandogli addosso tutto il dolore in cui mi aveva fatto sprofondare. Non avrei mai pensato che la rabbia che sentivo l'avrei indirizzata proprio verso di lui, ma non potevo farne a meno.

"Oh poverino. Ti va proprio male, eh?" Levi sputò, acido. L'espressione contrita contaminata da un nervosismo che avevo fatto scattare con quella semplice frase. Era assurdo come fossimo sempre due specchi l'uno per l'altro. Agganciati in una stretta dolorosa con l'ira e l'impotenza a cambiare i lineamenti rilassati dei nostri volti abbattuti. Avvertii fin nel profondo la sua sofferenza attraverso quella risposta arcigna e fu questo a darmi la forza di trattenerlo quando provò ancora ad andarsene.

"No, non può finire così. Ti prego." implorai. Ormai ero a un passo dallo scoppiare a piangere. Sentivo il magone in gola e l'acqua salata agli angoli degli occhi che non si era ancora prosciugata nonostante la settima infernale che avevamo passato. Mi piantai negli occhi di Levi, senza lasciare mai l'aggancio che avevo guadagnato. "Per favore, io ti amo e non so cosa farò se continuo a vederti così senza poterti aiutare. Levi, sei in una brutta situazione. Non pensare di potermelo nascondere perché lo so. L'altra sera quando hai dato la felpa a Jean ho visto le tue braccia. So che hai ripreso a tagliarti e non posso lasciartelo fare. Anche se non vuoi più parlarmi o stare con me, non puoi chiedermi di smettere di prendermi cura di te. Non posso stare a guardare senza fare niente. Non posso." le prime lacrime presero a scendere senza che fossi in grado di fermarle. Tutta la forza che possedevo l'avevo messa nel parlare con Levi. Mi sentii morire quando lo vidi sul punto di crollare. Pressò le labbra tanto forte che le guance gli si tinsero di rosa. Vidi senza sforzo le ciglia nere luccicare per il pianto che voleva liberarsi insieme al mio. Nelle iridi tempestose lottavano le sue emozioni contrastanti. Non provò neanche una volta a staccarsi da me, mentre analizzava in silenzio la situazione. Lo vedevo estraniarsi nei miei occhi supplichevoli, avendo solo una vaga idea di quello che stava passando per decidere che cosa fare con la mia richiesta disperata. Tirai un respiro di sollievo, il primo dopo quei giorni agonizzanti, al vedere le sue labbra schiudersi per darmi una riposta diversa da quelle che mi aveva rifilato fino a quel momento.

"Senti, sono stato troppo qui dentro. Lui starà sicuramente pensando che sta succedendo qualcosa. Devo andare. Ai bagni di Hawthorn, alle dodici e trenta." Levi sussurrò talmente a bassa voce che quasi lessi il labiale. Ignorai il cuore bloccato nella cassa toracica e il suo respiro pesante mentre dava ancora un'occhiata alle sue spalle.

"Dodici e trenta di stanotte o di domani?" chiesi sotto pilota automatico, mentre le dita si allentavano per permettergli di andarsene di nuovo via da me.

"Di stanotte, stupido." Levi mi schernì per poi liberarsi in fretta dalla mia presa e fiondarsi fuori dal bagno deserto. Aprii il lavandino e mi sciacquai il viso, imprimendo nella mente il tono saccente della sua ultima risposta. Pensai che se tutta quella spontaneità era risalita così facilmente, c'era ancora una speranza che tornassimo ad essere quelli di prima.


NOTA: Scusate se non è scritto benissimo. Sono stat* in giro tutto il giorno e sono a pezzi, ma ci tenevo troppo a darvi un altro capitolo da leggere. (Che poi magari avete di meglio da fare, ma io vi penso <3). Ci vediamo la prossima settimana con il seguito.

JUST FIVE DAYS (TRADUZIONE ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora