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LA STORIA É IN FASE DI REVISIONE. POICHÉ ALCUNE PARTI VERRANNO CAMBIATE COMPLETAMENTE MI SCUSO IN ANTICIPO SE PER UN PO' DI TEMPO AVRETE DEI RIFERIMENTI CHE NON SONO STATI ANCORA CORRETTI O SPIEGATI NEI CAPITOLI SUCESSIVI.


Mugugnai parole incomprensibili, tirando la coperta il più possibile e nascondendo il volto sotto il cuscino.

Odio la mattina, odio svegliarmi presto, odio non riuscire ad aprire subito gli occhi e sembrare un'eroinomane alla prima fase di disintossicazione. Ma soprattutto, odio la voce di mia madre di prima mattina.

"Carly, accidenti! Vuoi arrivare in ritardo già il primo giorno?" Urlò istericamente Alyssia, la mia madre adottiva, tirandomi via le coperte.

Tremai dal freddo quando depositai i piedi sul gelido pavimento e guardai l'orario.

Come se mi avessero appena buttato una secchiata di acqua gelida in faccia, strabuzzai gli occhi sentendomi ad un tratto più sveglia che mai.

Accidenti! Sono in stra mega ritardo!

Dalla mia bocca non uscì altro che uno strillo stridulo capace di far drizzare le code dei gatti. Ebbi solo il tempo di guardare malignamente la sveglia rosa sopra il mio comodino, che aveva deciso deliberatamente di non suonare, prima di buttarmi a capofitto sotto la doccia. In meno di 30 minuti mi ritrovai davanti allo specchio dell'anta del mio armadio con i capelli ancora grondanti d'acqua. Stirai con le mani la maglietta blu elettrico e indossai velocemente i miei anfibi sopra i miei jeans. Non potei essere in forma peggiore. Picchiai mentalmente la testa contro lo specchio per tutte le miriadi di cose che avevo preparato nella mia testa prima di andare a scuola, ovviamente tutte quante non compiute per colpa della mia inutile sveglia.

Mi guardai negli occhi, quegli occhi color ghiaccio che tanto mi ricordavano mia madre, ora pieni di preoccupazione di vedere la nuova scuola.

Stirai un'ultima volta la mia maglia ,leggermente spiegazzata, poi presi lo zaino ai piedi del letto e scesi le scale andando in cucina, avendo soltanto il tempo di prendere un biscotto e poi uscire di casa.

Appena varcai la porta trovai il mio fratellastro Ben con solo i boxer addosso intento a spalmare la sua adorata nutella su un toast appena sfornato. Qualsiasi ragazza pagherebbe oro per avere una visuale così ogni mattina. E' l'opposto di me: biondo, occhi verdi e abbronzato tutto l'anno per gli innumerevoli viaggi che decide di prenotare praticamente ogni mese. Il classico tipo che se incontri per strada non riesci a staccargli gli occhi da dosso.

"Buongiorno" lo salutai, entrando in cucina e rubandogli il toast dalle mani. Direi molto meglio di un semplice biscotto.

"Ehi!" cercò di riprenderselo, preso alla sprovvista. Mise il broncio prima di spettinarsi velocemente i capelli, rendendoli ancora più disordinati di quanto già non fossero.

Risi "Scusa bro, ma sono in ritardo, avvisa tu mamma e papà" ingurgitai la mia colazione e poi diedi un bacio veloce sulla guancia di Ben alla quale si spostò e, scherzando, storse il naso disgustato. Gli feci la linguaccia e corsi verso la porta.

"In bocca al lupo!" Sentì urlare da Ben poco prima di richiudermi la porta alle spalle. Annusai immediatamente l'aria fresca mattutina e mi riparai gli occhi dal sole appena sorto e pronto per una nuova giornata. Scesi le scale velocemente con un sorriso stampato in faccia. Difficile da crede ma ero felice di andare a scuola. Non ne avevo mai avuto la possibilità. Alyssa e John, i miei genitori adottivi, sono sempre andati cauti con me. Mi hanno sempre trattata come un gioiello di cristallo, come se mi potessi rompere da un momento all'altro a causa del mio passato turbolento e violento che ebbi fin dalla mia nascita. Diciamo che dopo che gli assistenti sociali li ebbero avvisati della mia grave situazione, in loro si sprigionò fin da subito quel senso di protezione che stavano cercando. Stavano cercando proprio me, almeno è quello che mi raccontò Ben. Lui aveva solo 2 anni quando mi portarono a casa, ma si ricordava ogni singolo pianto di ogni singola notte, dei miei lamenti, delle mie grida di aiuto che grazie alla mia nuova famiglia cessarono pian piano. Perlustrai la strada e con la coda dell'occhio vidi mia madre spiarmi dalla finestra. Sospirai cercando di trattenere un sorriso. Non potevo mica chiedere che mi potesse lasciare uscire senza prima darmi un'ultima occhiata, come ogni madre farebbe per la propria figlia. Ancora mi venne in mente quando chiesi di getto di voler andare a scuola, di essermi stancata dell'insegnante privato che ogni anno doveva imprigionarmi dentro l'ufficio di papà per 6 ore al giorno. Mi guardarono storto per alcuni minuti, poi la mano di John si posizionò sulla spalla di Alyssa e mi guardò comprensivo, quasi capendo la mia enorme richiesta di aiuto che si celava dietro a un'insignificante desiderio. Discussero parecchio fra loro, ma alla fine la dura verità non poté, a malincuore, che far cambiare idea ad Alyssia. Fosse per lei mi rinchiuderebbe a chiave dentro quella enorme casa per sempre pur di non perdermi. Ma oltre alla mia sprigionevole voglia di vivere come qualsiasi adolescente, mi accompagnava anche il fastidio frenetico che mi invadeva ogni qualvolta John apriva il proprio portafoglio davanti al mio insegnante privato. Una persona così dotata e colta non costava due spiccioli e, benché la famiglia Perez fosse una delle più prestigiose di Los Angeles, non poté che dispiacermi per ogni singolo dollaro speso a causa mia. La scuola pubblica sarebbe costata di meno che un pidocchioso so tutto io che puntava solo al denaro dei miei genitori.

Quando arrivai alla fermata del bus mi sedetti sulla piccola panchina in legno rovinata e imbruttita ancor di più da scritte in pennarello tutt'altro che artistiche. Guardai l'anziana signora proprio seduta di fianco a me e le sorrisi cordiale. Indossava un vestito beige con delle righe nere lateralmente e in mano inforcava il suo bastone in legno che utilizzava per camminare. La sua espressione, da seria e vitrea, si illuminò non appena le sorrisi. La sua bocca si stirò lievemente, facendo comparire tante piccole rughette ai lati degli occhi. L'accenno del suo sorriso non sparì neanche dopo che mi alzai non appena vidi l'autobus avvicinarsi. Ok, non avrò di certo compiuto un gesto così esemplare da dover scriverlo sul libro dei Guinness World Records, ma ero sicura che un sorriso, anche fatto da uno sconosciuto, il più delle volte puó sprigionare un'energia di positivitá del tutto sottovalutata. E io lo so bene. I sorrisi speranzosi di Alyssia e John e quelli timidi di Ben non li dimenticherò mai. E pensare che allora erano persone a me sconosciute.

Non mi erano mai piaciuti gli autobus. Forse perchè non ne avevo mai presi più del dovuto. Fui sicura di non esserci salita per più di 5 volte nella mia vita e me ne pentì ogni volta sempre di più.

Ci salí velocemente e mi appropriai di un posto libero vicino al finestrino. Non era di certo una macchina pulita e profumata, ma sicuramente era l'unico mezzo a mia disposizione per poter arrivare a scuola.

Quando quella scatola di latta si fermò, scesi e presi un grosso respiro. Mi presi fra i denti il mio labbro inferiore e iniziai a mordicchiarlo presa da un'improvvisa agitazione. Non ero mai stata in mezzo a tanti adolescenti e Ben mi aveva messo in guardia su alcuni accorgimenti. Non tutti sono educati. Non tutti sono disponibili. Non tutti sono affidabili. Non tutti sono buoni. Quando me lo disse gli scoppiai a ridere in faccia. Insomma, stavamo parlando di adolescenti, non di animali selvaggi. Ma proprio in quel momento, mentre l'autobus si spostò, facendomi scorgere l'edificio davanti a me, mi resi conto che forse non dovevo prenderla troppo alla leggera. Mi aveva raccontato di ragazzi che furono letteralmente presi di mira per il resto degli anni soltanto per una minima cavolata, e l'idea di essere proprio io quella malcapitata mi fece mordere ulteriormente il labbro. Sentì un sapore dolciastro in bocca, ma non era il momento di preoccuparsene. Lo stomaco aggrovigliato a causa dell'ansia improvvisa era diecisamente più grave. Iniziai ad avanzare in mezzo alla piazza, dove ragazzi della mia stessa età o più grandi si radunavano e si fermavano a parlare con i propri amici. Notai sfortunatamente che erano tutti molto fissati con la moda, soprattutto le ragazze. Pantaloni attillati in pelle e mini top erano sicuramente le cose più usate in quella scuola. Per non parlare della quantità di trucco che invadeva le loro facce. Mi toccai istintivamente il mio viso pulito e libero da qualsiasi cosmetico e sospirai sollevata. Non riuscirei mai a sopportare tanta pesantezza nell'arco della giornata. Incontrai lo sguardo curioso di parecchie persone, ma nessuno fu così coraggioso da venirmi a parlare. Soprattutto due ragazze proprio poste ai lati del portone d'ingresso. Il loro sguardo si assottigliò ulteriormente non appena gli passai di fianco per poter entrare. Mi squadrarono da capo a piedi e poi si avvicinarono per parlottare fra loro. Non riuscì a capire quello che si dissero, ma non ci diedi peso. Non tutti sono educati le parole di Ben mi ritornarono in mentre mentre aprì la porta con più forza del dovuto. Essa venne fermata allo stesso modo, ma non per merito di una mano.

"Cazzo!" L'imprecazione del ragazzo davanti ai miei occhi fece scoppiare a ridere i suoi amici posti proprio dietro di lui. Lo guardai spaventata mentre lui si portó una mano al viso.

"Oddio, mi dispiace!" Mi sorpresi,  guardando del sangue fuoriuscire dal naso del ragazzo che cercava in tutti i modi di fermare.

"Ma sai leggere? Hai sbagliato la fottutissima entrata" Sibilò trucidandomi col suo sguardo cupo. Guardai in automatico verso la porta, volendo la conferma. Sprofondai quando lessi il cartello uscita attaccato alla vetrata con dello scotch.

"N-non me ne sono resa conto, mi dis.."

"Sì, ti dispiace, l'hai già detto." Sbottò, prima di riaprire di nuovo la porta e finalmente uscire, con ancora le risate dei ragazzi alle sue spalle.

•A disastrous love• (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora