Capitolo 6

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QUINN:

Era passato un mese esatto.

Un mese da quando mi ero trasferita da Justin. Speravo che le cose sarebbero migliorate, col tempo. Ma non era andata esattamente così.

Mai in tutta la mia vita mi ero sentita così sola.

Justin non riusciva a capirmi, pensava solamente alla mia malattia, al fatto che non volevo mangiare.

Non mi dava l'amore di un padre ma solo ordini e regole da eseguire, e ovviamente finivamo col litigare, sempre.

Non trovavamo un punto d'accordo in nulla, riuscivamo solamente a urlarci addosso. Noi in quello eravamo bravissimi.

Ed era questo tutti i santi giorni.

Iniziavamo a litigare alle otto del mattino e finivamo alle undici di sera. Dopodiché scoccata la mezzanotte lui ed i suoi amici uscivano, lasciandomi a casa da sola, immersa nei miei pensieri.

Non ne potevo veramente più di tutta questa solitudine.

Mi ero chiesta spesso che tipo di lavoro facessero e mi era anche capitato di chiederglielo, in varie circostanze, ma si limitavano a sviare l'argomento ed ignorandomi completamente.

Cominciavo ad avere dei seri dubbi riguardo i loro "affari". Era così che li chiamavano quando c'ero io presente.

Mi alzai dal letto su cui ero stesa aprendo la porta della mia camera, mi affacciai verso le scale cercando di sentire se ci fosse qualcuno in casa.

Dopo alcuni minuti capì di essere sola, ancora una volta.

Scesi al piano di sotto sedendomi sul divano, erano le 10,30 di mattina.

Neppure il tempo di scegliere che canzone ascoltare che mi arrivò una chiamata da parte di Justin.

Ero riuscita a farmi restituire il telefono qualche giorno fa, naturalmente dopo avergli fatto una scenata scoppiando a piangere in maniera disperata, non per il telefono ma per il modo in cui si comportava con me.

Cliccai il tasto verde, rispondendo alla sua chiamata.

"Quinn, fatti trovare per pranzo, verrà un ospite." Parlò senza neppure chiedermi come stessi, senza neppure salutarmi.

"Buongiorno anche a te. Ma dove sei ?"

"Sono sceso con i ragazzi per degli...affari." Rispose tagliando corto l'argomento.

Alzai alzando gli occhi al cielo, non faceva altro che avere segreti su segreti. Era quasi peggio di me.

"Ma tra una decina di minuti circa arriviamo." Aggiunse improvvisamenge attaccando poi la chiamata, senza neppure aspettare una mia risposta.

Io intanto ero rimasta con il telefono ancora attaccato all'orecchio, proprio come una completa idiota.

Perché era così che mi sentivo, un idiota.

Avrei tanto voluto sapere il genere di 'affari' di cui si occupava ma decisi di concentrarmi sull'ospite che si sarebbe presentato a pranzo.

Voleva presentarmi un altro suo amico ?

Era impossibile, quando mi aveva presentato i ragazzi non aveva organizzato nessun pranzo, doveva trattarsi di qualcuno di particolare.

Poggiai i piedi sul divano giocherellando con il telefono, in qualche modo dovevo intrattenere il mio tempo e non volevo passarlo a scervellarmi per cercare di capire chi sarebbe venuto a mangiare da noi quel giorno.

Misi un po' di musica sentendo dopo qualche minuto la porta d'ingresso aprirsi e poi richiudersi.

Erano tornati, stranamente puntuali.

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