7. Reflection

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Why you think I'm putting on my favorite perfume?

Why you think this dress so tight that I could barely move?

Why you think I'm dancing in these uncomfortable shoes?

I did it all, I did it all, I did it all for you

[Fifth Harmony]

***

Avevano lasciato New York soltanto da qualche ora, ma l'oscurità era già precipitata a capofitto sull'oceano, in direzione di Southampton. Tutt'intorno alla parte di scafo che emergeva a pelo dell'acqua, con la complicità dell'illuminazione artificiale del transatlantico, Erebo costruiva alcuni sinistri giochi di ombre che nell'inconscio di chi osservava avrebbero riecheggiato dello scroscio con cui il Titanic avanzava nell'omonima pellicola di James Cameron, datata 1997.

La conca celeste, composta della medesima palette di tre diversi blu (manganese, zaffiro e pavone), una volta seminate le luci del porto statunitense, aveva cominciato a sfoggiare il suo abito migliore, tempestato di astri che parevano diamanti su un capo firmato Valentino.

Camila, che camminava in solitudine sul principale ponte scoperto, ne ammirava ogni dettaglio lucente. Tutto, in quella natura che si mostrava silente, fluida e tenebrosa, le ricordava Lauren; la nuova Lauren; colei che fuori dal lavoro aveva perso l'esigua loquacità giovanile; colei che dopo Arabella aveva fasciato il proprio cuore con strati e strati del broccato più pesante, per evitarne una nuova, devastante lacerazione in due parti distinte; colei che non si lasciava leggere più; colei che esprimeva mancanza, colmava il vuoto altrui e mai quello che la albergava.

Così come fa con me, meditò mestamente Camila, rientrando nella cabina doppia noleggiata per la traversata, la numero duecentosettanta. Adagiato il cappotto su un braccio dell'appendiabiti, rabbrividendo violentemente, si scosse il freddo residuo di dosso.

Il letto matrimoniale che occupava la maggior parte dello spazio appariva sfatto ma vuoto. Al tatto si presentava ancora piacevolmente tiepido: Lauren doveva essersi destata da poco dal pisolino che aveva deciso di schiacciare, una volta a bordo. Tuttavia, il computer portatile che giaceva richiuso poco distante in compagnia di un quaderno fitto di appunti indicava tutt'altro.

Camila scosse la testa: Questa studia e lavora pure in vacanza.

- Lo? – tentò.

- Camz? – rispose una voce proveniente dallo scomparto dedicato al bagno. – Sì, ti stavo aspettando per andare a cena insieme! -. Poco dopo, Lauren fece capolino nell'ambiente. – Ti va? -.

Irradiava già un magnetismo travolgente, con quell'elegante tubino nero a motivi rinascimentali che si fermava a metà coscia ed era accompagnato da un lungo cardigan che serviva a tenerle caldo. Se avesse anche indossato il giusto paio di tacchi per slanciarsi (difatti era ancora scalza), avrebbe certo dato il colpo di grazia all'impreparata e anelante moglie che la osservava da capo a piedi, come pietrificata, e non osava spiccicar parola.

- Io devo solo... -.

- Sì! Assolutamente sì! -.

Camila si fiondò sulla valigia come se la propria vita dipendesse da quella cena ed estrasse un abito da cocktail color lampone interamente in georgette, con una gonna asimmetrica che scopriva le ginocchia e fluttuava a ogni passo. Recuperò in fretta il paio di calzature che le avrebbe permesso quantomeno di superare il metro e sessanta e, stampato un bacio sulla guancia della moglie al sapore di Arrivo subito!, si precipitò a sua volta in bagno.

Se si fossero trovate in ben altro tipo di rapporti avrebbe anche arraffato un completo d'intimo coordinato. Non aveva idea di come la serata si sarebbe conclusa, ma sperava di porre le basi di un corteggiamento già di per sé in condizioni disperate.

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