Capitolo 11

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Le tonalità di azzurro nel cielo giocavano a rincorrersi come bambini in un parco d'estate. Eizan si trovava lì, all'interno di quella cella troppo stretta, sporca e buia. Il suo rapitore faceva ondeggiare il coltello con la sua sola mano destra. Si alzò e si avvicinò alla ragazza seduta accanto a Eizan. Anche lei, come quest'ultimo, era nuda. Completamente. La bocca le iniziava a pizzicare a causa del panno stretto con forza all'interno. Portava lividi violacei sui polsi e sulle caviglie. I capelli le arrivavano al mento, erano lisci e di un colore simile al giallo fieno; Quella tonalità talmente chiara da sembrare quasi inesistente. Axel si sistemò la cravatta al collo. Lui era così; Affascinante, intoccabile. Un capestro pendeva dal soffitto.

«Bene bene bene. Ora giocheremo all'impiccato, uno di voi due penserà una parola, se l'altro la indovina vive. Se non la indovina muore. Ci state?»

Disse Axel spostandosi i capelli corvini all'indietro, per poi avvicinarsi ai due prigionieri con il trinciante snello che teneva nella mano destra. I prigionieri cercarono invano di arretrare all'imponente figura del proprio sequestratore. L'uomo dai capelli corvini si avvicinò a Elide, la ragazza sequestrata assieme ad Eizan. Axel si accese una sigaretta, in un breve lasso di tempo quella stanza fin troppo umida venne riempita da una nube di fumo.

«Bene. Elide, deciderai tu la parola»

Disse, lasciando trasparire un leggero velo di superiorità nel suo tono. Poi, si avvicinò ad Eizan, e gli spense la sigaretta sulla cute.

Pareva tutto così nullo, tutto così privo di tutto. Tutto così privo di niente. Come bere da una bottiglia vuota; Come seguire la scia delle gocce d'acqua sui pezzi di vetro. Una finestra che si rompe. La leggera linea che si occupa di separare la vita dalla morte, si spezza.

Elide scelse una parola, che ovviamente non era quella indovinata dal ragazzo. I due prigionieri decisero di barare, mentire per rimanere in vita. Nel momento in cui Eizan disse la parola, la ragazza confessò fosse quella corretta, mentre, invece, era quella errata, ma poco importava in quel gioco mortale.

«Ma che bravo che sei Eizan, hai indovinato! Adesso, io torno in camera mia e vi lascio qui»

Disse Axel, per poi legare i prigionieri per le braccia e per le gambe e tappandogli la bocca con un nastro adesivo. I due non mangiavano da giorni, le guance scavate verso l'interno, l'ossatura fragile, il corpo magro e debole. In tutti quei giorni gli era stata concessa solo una minestra, una di quelle immangiabili, ma dovettero farselo bastare. Elide pensava a quanto fosse incredibile scoprire qualcosa di qualcuno semplicemente osservandolo, così si sentiva ogni volta che guardava Eizan, su una nuvola. Erano in una situazione a dir poco complessa; eppure, lei se ne era innamorata. Dunque, era davvero possibile innamorarsi di qualcuno semplicemente osservandolo?

Axel tornò nella propria residenza, il resto del gruppo si trovava in sala, ad attenderlo, ma lui li ignorò, andando dritto in camera. Era stanco, affamato. Jackie lo seguì. Aprì debolmente la porta in legno con la mano destra, era ruvida al tatto e color caffè alla vista. Appena entrato nella stanza trovò Axel sdraiato sul letto. La fronte era bollente, ma il resto del corpo era gelido. Jackie si preoccupò subito, avvicinandosi maggiormente al ragazzo più grande. Lui era così. Gentile, altruista. Metteva sempre il bene degli altri prima del proprio. Quando era piccolo, al mare, le formiche stavano uscendo dal formicaio, e lui smise di camminare per non calpestarle.

«Vai a chiamare Felix. Digli che lui ha vinto, digli che ho fame»

Sussurrò Axel, per poi chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno. Jackie andò a chiamare Felix, inconsapevole della cruda verità alla quale sarebbero venuti a conoscenza.

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