Capitolo 41

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Jackie aprì gli occhi risvegliandosi in una cella. Una cella piccolissima, buia e stretta. Vedeva tutto nero, ma sentiva l'odore di marcio della muffa. I capelli lunghi erano arruffati e sporchi, ricoperti di polvere così come il resto del suo corpo. Gli occhi verdi socchiusi, incapaci di mettere a fuoco in modo dignitoso. Provava un enorme senso di confusione, come quando apri gli occhi la mattina e non comprendi se sei sveglio o stai ancora sognando. Sentiva il corpo pesante, tentò di alzarsi in piedi ma fu invano; cadde di nuovo per terra. Dopo qualche minuto, gli tornò la vista. All'apparenza quel luogo pareva essere un vecchio scantinato abbandonato, ma si rese conto si trattasse in realtà di una sala di torture, a causa degli attrezzi appoggiati sul tavolino in metallo. Forbici dalla punta affilata e prepotente, pronta a tagliare qualunque cosa gli si avvicinasse. Coltelli dalla lama più aggressiva del normale. Normale, che strana parola da utilizzare in una circostanza simile. Cosa c'era di normale, in quella situazione? Jackie fece balzare il suo sguardo sulla porta, su cui si posava una scritta. Il carattere maiuscolo e la scrittura storta e sporca. SALA DI TORTURE PER UMANI. Gli gelò il sangue nelle vene. Poi la sua mente si invase di dubbi e domande senza risposta. Perché era lì? La battaglia? Fumiko? Axel stava bene, era lì anche lui? Elian? Che cos'era successo?

La porta emise un leggero scricchiolio, aprendosi. La figura di un uomo era appena apparsa davanti alla sua visuale. Jackie si ritrovò ad indietreggiare, finendo con le spalle contro il muro della cella. Il muro ruvido gli strisciò sulla schiena, arrossandola. Il signore ridacchiò, avvicinandosi alle sbarre.

«Piccino, non aver paura. Non ti faccio niente.»

Se "niente" significava strappargli la carne e darla in pasto ai demoni, Jackie sarebbe stato disposto a credergli. Il ragazzo rimase contro al muro, temendo l'uomo volesse fare pratica su di lui con i suoi attrezzi delle torture.

«Ha proprio scelto bene, Axel. Ha buon gusto, mio figlio»

Figlio? Quale figlio. Padre? Quale padre. Jackie continuò a tenere le sue iridi contro quelle dell'adulto, le sue erano grigie. Il creatore. Jackie si fece coraggio, decidendo di prendere parola in quella conversazione assurda.

«Tuo figlio? Cosa sai tu di Axel? Io so chi sei tu.»

Il tono di voce sicuro, le spalle perfettamente allineate. Non staccava le iridi dal creatore, neppure per sbattere le palpebre. Il Creatore. Un uomo vestito di nero, un'eleganza unica e raffinata. Un uomo dagli occhi grigi. Un uomo capace di incendiarti.

«Ma davvero? E dimmi, Jackie, io chi sono?»

La voce bassa, tagliente. Il respiro regolare, perfettamente regolare. Aveva pronunciato il suo nome in modo estremamente raffinato e corretto, solitamente tutti commettevano svariati errori nella pronuncia. Il creatore era praticamente appiccicato alle sbarre, il prigioniero bloccato contro il muro.

«Il Creatore. Tu sei il creatore.»

La sua voce era ridotta a poco più di un sussurro. Sapeva quanto fosse pericoloso, il Creatore. Lo sapeva. Vedeva lo sguardo di Felix ogni volta che lui veniva nominato, vedeva il modo in cui si grattava le braccia ferite.

«Hai proprio ragione. Sai perché lo sono?»

Non importava se lo sapesse o meno, lui glielo avrebbe detto lo stesso. Il suo era un gioco singolo, giocava solo lui e gli altri dovevano stare a delle regole su cui non erano d'accordo. Per questo motivo Jackie negò con un cenno di capo.

«Lo sono perché ho creato tutto io! Solo io. Ho creato io questo posto, ho creato io tutte le mie creature. Tutto quello che vedi mi appartiene. Ti piace questo luogo?»

Chiese infine. Jackie deglutì, restando in silenzio. "No, non mi piace. Sa di marcio e vomito" sarebbe stato come dire "Uccidimi, voglio morire soffocato da te".

«Non rispondi? Guarda che mi offendo.»

Il creatore gli sorrideva attraverso le sbarre, lui era immobile cercando di fondersi con il pavimento sotto ai suoi piedi. Prese coraggio, cercando un qualche modo assurdo per fuggire a quella situazione.

«Mi piace, carino. Ma perché sono qui?»

La sua voce tremava, così come tremavano le sue mani. Iniziò a sperare di essere solo in brutto sogno, solo uno scherzo di cattivo gusto, ma quella era la realtà e non si fugge davanti a lei.

«Volevo riprendere l'anima oscura, Fumiko. Ma poi la mia spia ti ha visto e ho pensato "perché no". Poi ho visto Emy, l'angelo. Dunque, la mi spia ha preso anche lei. Stavo pensando di tagliarti i capelli.»

Jackie rabbrividì. Si toccò i capelli lunghi con le mani, gli arrivavano fino alle natiche. Cosa ne sarebbe stato di lui senza i suoi lunghi capelli dorati? Poi ricordò il resto della conversazione. La spia. Fumiko. Emy.

«Dove sono Emy e Fumiko?»

Chiese, il volto corrugato dalla rabbia. Una vena gli pulsava prepotentemente in mezzo alla fronte.

«Chi lo sa, lo scopriremo.»

Emy aprì gli occhi. Le sue ali bianche erano schiacciate contro il muro di una cella. Una sostanza oleosa ricopriva le sbarre, i suoi capelli bianchi erano ricolmi della stessa sostanza. Le sue ali erano ferite. Ricordò del giorno precedente, stava badando a Fumiko quando una persona del loro gruppo le diede il cambio, lei accettò. Stava per andarsene, ma venne attaccata alle spalle e drogata. Adesso si era risvegliata in quella cella, sporca e marcia. Tentò di chiamare qualcuno, telepaticamente, ma la sostanza glielo impediva. Guardò la scritta sulla porta dell'ingresso per la stanza. SALA DI TORTURE PER CREATURE SOPRANNATURALI. Si guardò attorno. Erano presenti diverse armi: coltelli imbrattati della sostanza, pistole, corde da impiccagione. Davanti a lei si presentavano altre quattro celle. Nella prima c'era un ragazzo-demone, nella seconda una ragazza (potere sconosciuto), nella terza e nella quarta due creature del creatore più ribelle delle altre.

«Ciao, Emy. Come stai? Ti piace questo posto?»

La voce metallica, il viso coperto, il corpo mimetizzato con l'oscurità. La spia. La spia era lì, davanti a lei. Sapeva di dover porre attenzione prima di rispondere a qualsiasi domanda, ma di certo era meglio parlare con lei che con il Creatore. Decise di rimanere in silenzio, attendendo fosse l'altra a parlare. Si portò la mano destra sulle ali ferite: sanguinavano.

«Non parli? Mi dispiace tanto, piccolina. Ma qui non c'è nessuno a salvarti, vedi?» indica il nulla «Solo io e te.»

Il suo sguardo spento si posò sull'attrezzo che la spia teneva in mano: una frusta ricoperta dalla sostanza che, oltre a proibire i poteri degli esseri soprannaturali, gli faceva provare dolore soltanto mettendoli a contatto con essa. In quel momento realizzò di trovarsi in quel luogo per essere uccisa in modo lento e doloroso. Si schiarì la gola, trovandola secca. Il suo respiro si fece irregolare, all'improvviso sentiva un estremo bisogno di aria pulita.

«Oh, è la sostanza. Il Creatore mi aveva detto che avrebbe fatto questo effetto. Sai, dalla battaglia nella "Prigione Mentale" la abbiamo resa ancora più potente!»

Le gelò il sangue nelle vene. Ancora più potente. Avrebbero potuto sterminare esseri soprannaturali semplicemente avvicinandoli a quella miscela. Anche dalle altre celle provenivano colpi di tosse. La spia spostò la frusta, allontanandola dalle celle.

«Il creatore mi ha detto solo di giocare un po' con voi, quindi non posso uccidervi, peccato.»

Dalla seconda cella una ragazza prese parola. La voce scottata dalla sostanza, le braccia flosce sulle sbarre.

«Perché ci fate questo?»

Emy poté giurare di averle visto gli occhi inumiditi. La ragazza dai poteri sconosciuti, seconda cella, stava piangendo. Era lì dentro da 365 giorni.

«Perché è divertente!»

Il mondo parve crollarle addosso quando lasciò andare le sbarre sdraiandosi sul pavimento sporco e marcio. I capelli lunghi erano un annodamento unico, il verde stava iniziando a fondersi con lo sporco presente sul terreno. Il Creatore era solo un pazzo, desideroso d'attenzioni, desideroso di essere il capo del suo piccolo mondo. Per lui tutto quello era solo un gioco, una gara. Pazzo contro pazzo. Sadico contro sadico. Chi riesce a sopravvivere fino alla fine, vince.

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