Capitolo 22

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«Non capisco perché non posso, Jackie. Axel ha detto di non aver paura del buio.»

Disse Elian, passandosi la mano destra tra i folti capelli ricci. Per invocare il demone serviva un sacrificio, due anime umane dovevano condividere il proprio corpo, o meglio dire il proprio spirito, con il demone; il piano consisteva nell'invocare il demone che anni prima possedeva Axel. Quel demone andava matto per le anime dei bambini (poteva vederli crescere e assorbire da loro più energia vitale) e, poi, avrebbe potuto vantarsi di aver posseduto sia il padre che il figlio. Non era un piano così orrendo: solo una persona sarebbe stata posseduta, anziché due. Axel aveva condiviso la sua anima con un demone per anni e anni, non era poi così orribile, dopo un po' ci aveva fatto l'abitudine. Poteva fare quello che voleva nella maggior parte delle situazioni, era solo più irascibile, nel senso, molto più irascibile. A volte diceva cose che non pensava veramente e, pecca fondamentale, poteva cibarsi solo e unicamente di anime umane. Ma come punto a favore avrebbero potuto salvare Felix ed Elian avrebbe guadagnato il quadruplo della sua forza attuale. Se non di più.

«Non puoi, Elian; è troppo pericoloso. Non puoi giocare con un demone, è una cosa da pazzi. Non seguire quello che dice Axel, è pazzo. No. Non se ne parla, solo un'idiota farebbe correre un rischio simile al proprio figlio.»

«Ehi! Mi hai appena dato dell'idiota, Jackie. Elian è abbastanza grande per decidere da solo e poi, dai, siamo morti! Cosa può accaderci di peggio? Non accadrà niente a nostro figlio. Non preoccuparti, sono letteralmente cresciuto con quel demone, è mio amico, circa. Oddio, aspetta. I demoni hanno un genere? Maschio o femmina? O forse nessuno dei due? Vabbè, non importa adesso. In discorso è questo: tanto se non vuoi lo facciamo lo stesso.»

Disse tutto d'un fiato Axel, per poi sorridere al suo ragazzo. Jackie sbuffò.

«Va bene! Tanto, a quanto pare, quello che penso io qui non importa a nessuno.»

Si arrese Jackie. Erano nella camera di Eizan. Mezzanotte. Il rituale ebbe inizio. Tutti i presenti, come la sera precedente, lasciarono il proprio sangue nel contenitore e, proprio come la notte prima, la ferita venne rimarginata immediatamente.

«Demone? Sei qui? Ci senti?»

Disse Elian, a voce talmente alta che Dipsy iniziò ad abbaiare al nulla. O forse a qualcosa abbaiava.

«Ma che stai facendo, Elian? Secondo te il demone risponderà a questo stupido richiamo?»

Iniziò ad urlare anche Haiky.

«Beh, non credo tu abbia altre idee»

Un senso di oppressione si innalzò nell'aria.

«Di certo questa non funzionerà»

Rumori.

«E chi te lo dice?»

Luci. Prima accese. Poi, spente. Di nuovo accese. Ma nessuno premeva l'interruttore.

«La logica!»

«Haiky! Elian! Siete peggio dei bambini. Posso capire mio figlio, ma tu Haiky. State zitti. Non sentite? Non vedete?»

Interruppe la "discussione" Jackie. Il silenzio avrebbe regnato nella stanza, se solo non ci fosse stato Dipsy, che abbaiava senza fermarsi da un paio di minuti. E, poi, Elian lo sentì. Qualcosa di oscuro era lì per lui, per la sua anima. Era stato lui stesso a chiamarlo. Ad evocarlo. Il demone si presentò davanti a loro. Non aveva sembianze umane, anzi, non aveva proprio sembianze. Era come una nube di oscurità e paura.

«Per quale motivo mi hai disturbato?»

Disse il demone, telepaticamente. Era così che comunicava, via mente. Poteva parlare via mente con tutte le persone che voleva, anche più alla volta. Era come essere invasi nei propri pensieri. Il demone lesse nei pensieri del bambino, scoprendo l'intero piano.

«La prole di Axel. Ma certo. Lo farò, prenderò possesso di tuo figlio e poi andremo ad aiutare quel casinista di Felix. Forse a volte te lo scordi, ma anch'io sono cresciuto insieme a voi.»

Dopodiché, iniziò a frugare nei ricordi di Elian. Se doveva prendere un'anima, doveva prima conoscere il proprietario.

Il 23 novembre 1992 venne al mondo un bambino dai capelli castano chiaro, quasi dorato e gli occhi verdi. Sembrava uscito dalle favole. Avrebbe avuto una vita perfetta, se solo fosse stato una lei. Il 23 novembre 1992 venne al mondo un bambino, il 23 novembre 1992 venne al mondo una bambina. Il suo nome era Lee, Lee Last. Doppia elle. Gli venne messo un fiocco rosa in testa e tutti si congratulavano con i genitori. "Complimenti hai avuto una bellissima bimba" Ma complimenti di cosa? Che senso aveva fare le congratulazioni per una cosa del genere? Povero bambino. "Benvenuto" in questo mondo crudele, composto di sangue ed ossa spaccate.

La vita di Lee proseguì bene fino al 23 novembre 1997. Era il suo quinto compleanno. In onore di quel giorno sua mamma aveva deciso di andare a comprare dei vestiti in un negozio. Ma Lee non voleva le gonne ed i vestitini, voleva i jeans e le maglie del reparto maschile. La stessa situazione si ripresentò sette mesi dopo, quando toccava alla scelta dei costumi da bagno.

Il primo pensiero sul suicidio si presentò nell'anno 1998. Arrivò violento, come una frusta. Suo padre alzò le mani su di lui, per la prima volta. Aveva solo sei anni. Aveva affermato di essere maschio. All'epoca amava follemente giocare a basket, nel parco del paese un gruppo di ragazzi ci giocava sempre. Si unii a loro, si mise il cappello coprendosi così i capelli lunghi e indossò i vestiti maschili che gli aveva prestato il suo amico Tod. Successivamente, si presentò come Mario. I suoi genitori lo scoprirono, suo padre lo picchiò, sua madre si recò personalmente a casa di Tod, restituendogli i vestiti e proibendo a Lee di rivedere il suo amico. Ovviamente gli era stato proibito anche il basket.

Anno 2002. Le cose andavano sempre peggio. Non aveva amici. L'unico amico della sua vita gli era stato proibito. Andava a scuola, ogni giorno con un nuovo segno sul viso. Aveva dieci anni. Ultimo anno di elementari. Poi sarebbe andato alle medie. Nuova classe, nova scuola, nuova vita. Pensava, mentre si medicava la ferita che sua madre gli aveva arrecato con un coltello da cucina.

L'anno dopo iniziò le medie. Trovò un'amica, Katye. Una bambina simpatica. Lee gli rivelò anche il suo essere transgender. Parlavano di tutto. Spesso Lee andava a casa della sua nuova amica, quando la sua era troppo un inferno. Lee aiutava Katye per qualsiasi cosa, e lei lo stesso. Un giorno Katye dovette trasferirsi, e la vita di Lee tornò di nuovo grigia.

2004, l'ultimo anno della sua vita. Dodici anni. A scuola lo bullizzavano, a casa lo picchiavano, fuori da scuola stava sempre da solo. Il seno era più evidente rispetto agli anni precedenti. Suicidio. Morì impiccato in camera sua, davanti allo specchio.

Si risvegliò in un posto strano. La morte sapeva di panna. Quando sei vivo, ti aspetti sappia di acido. Si risvegliò in un palazzo. Tutti lo chiamavano "Il palazzo reale". I tre principi della morte erano occupati con altre anime, per lui nessuno era presente. Nel limbo tra la vita e la morte il tempo continuava a scorrere, la zona successiva, la zona dei "morti umani" è una zona ferma; lì il tempo non passa. In questo caso, il limbo era una zona di transizione tra la vita e la morte. Il limbo era la foresta nera. Lee scappava dai suoi genitori. Lo avevano seguito nella morte. Un ragazzo dai capelli blu lo vide, ma lo lasciò lì. «Perché stai piangendo?» Chiese Felix guardando il bambino dietro le scale. «I miei genitori mi cercano per picchiarmi, perché non sono come loro. Per favore puoi andare via...non voglio che mi trovino»

Per un anno era riuscito a sopravvivere da solo. Per un anno era riuscito a sopravvivere nella morte. Un giorno sedeva tremolante per strada, lo stesso giorno venne trovato da Axel e Jackie.

Adesso Lee era Elian. Aveva una famiglia che lo amava e lo accettava, degli amici-zii e divertimento. A breve avrebbe avuto anche i suoi due zii. Felix ed Alan, da cui era derivato il suo nuovo nome. Come una fenice, era rinato dalle ceneri della sua vita.

Per tutti i Lee là fuori. Non siete soli. Non fate la stessa fine di Lee. Potete rinascere anche nella vita. Abbiate il coraggio di dire basta a tutte le cose negative. Abbiate il coraggio di diventare Elian. Vivete. Vivete per davvero.

«Domani penseremo al piano per salvare Felix»

«Si, domani.»

Se non riesci a farlo oggi, se oggi stai soffocando, se oggi devi combattere altre guerre. Chiudi gli occhi, respira lentamente, e fallo domani. Domani.

La foresta neraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora