CAPITOLO 1

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AIDAN


Non lo faccio perchè sto male, ma solo per continuare a fingere di star bene.

Le luci della notte di una città impregnata di parole non dette da gente menzognera, le vedo sfocate come tanti cerchi in movimento che fluttuano nel buio di una nottata silenziosa nel suo essere comunque piena di caos. I rumori arrivano ovattati, quasi lontani come sospiri nostalgici azzarderei, proprio come quelli che sfiorano le mie labbra screpolate ogni qualvolta espiro la lieve fumera di vapore che esce dalla mia bocca per via del freddo.

Non lo faccio perchè sto male, ma solo per continuare a vivere senza crollare.

Il freddo asfalto di una strada abbandonata al suo destino mi tiene sveglio, anche se ormai dormo molto di rado per via dei miei pensieri ancora più gelidi di questa strada vuota e senza fine, illuminata da quello che penso sia un lampione poco funzionante a pochi passi da me.

Mi assillano giorno e notte senza mai darmi tregua, non li chiamerò "mostri", non credo in quelle stronzate da depressi che danno la colpa all'ansia per i loro continui problemi, io penso soltanto...troppo, ed è questo che fa male. Chi pensa è perduto, chi se ne priva ha capito tutto.

Non lo faccio perchè sto male, ma solo per continuare a respirare.

Lo zigomo, le nocche delle mani, ma soprattutto il petto, mi bruciano senza dar pace alla mia quiete forzata, lo stato di calma che mi creo ogni volta che necessito di sfuggire per smettere di inseguire una vita bastarda che non mi aspetta, il fiato irregolare mi alza e abbassa il petto a fatica, persino i polmoni tentennano sul darmi ossigeno o lasciarmi qui, a soffocare in mezzo allo smog di una città che di me, non ha la minima considerazione.

Non inghiottisco pasticche perchè sto male, ma solo per ricordarmi che di bene ormai non ce n'è più.

Circondato costantemente da gente che con i soldi chi costruisce aeroplanini di carta, persone che ti leccano il culo soltanto perchè hai qualche soldo nel portafogli e che se non fosse così neppure si girerebbero per sputarti in un occhio, donne che ti si accollano soltanto per spillarti qualche milione e serate di gala del cazzo dove devi pensare costantemente a cosa dire e a come dirlo perchè altrimenti rischi di rovinare la buona reputazione di tuo padre.

Mio padre.

Un uomo che dovrebbe avermi cresciuto, ma che mi rivolge appena due parole la sera quando torna stanco dal lavoro, un uomo che a stento mi guarda con ribrezzo, quasi fosse schifato dalla visione di suo figlio. Per crescere ho trasformato quel suo ribrezzo in "bene", mi sono sempre detto che faceva così perchè ci teneva a me ma alla fine crescendo ci si rende conto che è tutto una beneamata minchiata.

Mi tiene con sé esclusivamente perchè gli ricordo l'unica persona che penso abbia mai amato veramente in tutta la sua vita, l'unica donna che è riuscita a fargli cambiare idea sulla vita, colei che sorrideva al mondo anche quando il mondo non ricambiava.

Mia madre, nonchè anche l'unica che probabilmente mi abbia mai voluto bene e che mi manca, mi manca fottutamente tanto.

Con una bottiglia in mano di qualche liquido che neppure conosco, la mente sopraffatta dalle sostanze che assumo e gli occhi appannati e puntati al cielo, rivivo l'anniversario della sua morte con la solita domanda che mi sorge ogni volta che penso a lei.

Se non ci fossi stato io mamma, adesso saresti ancora qui?

Conosco la sua storia a memoria, la sua storia con papà fin dagli inizi, fin dal primo giorno in cui si video in quell'ufficio del cazzo della sua impresa che ancora porta avanti e che un domani forse passerà a me, anche se io non la voglio.

Fatal attraction 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora