CAPITOLO 60

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AIDAN

Sento il cuore in gola a bloccare parole che non ho la forza di dire, il loro carico è tanto importante che probabilmente non riesco neppure a comprenderlo pienamente e il caos che causano dentro di me con le loro grida mi graffiano la carne. Fuori ha vita il silenzio, un tacito e sofferente vento di emozioni che non fa rumore, dentro un frastuono di sentimenti che ti lasciano l'amaro in bocca, un nodo in gola e il caos nell'anima. Lì dove quel bambino dall'anello di metallo sta riattaccando con calma ogni pezzo rendendosi conto che le mie risposte erano sempre state presenti in me, risposte che non volevo vedere troppo orgoglioso per ammettere di essere debole. Quelle risposte si chiamano semplicemente fragilità, ognuno di noi le possiede ma come il respiro, ci attraversano il corpo in silenzio senza farsi mai notare, divenendo qualcosa di cui non possiamo fare a meno. Ma anche qualcosa che in molti non meritano.

Mi tremano le mani e me ne vergogno, mi imbarazza che il fremito dei miei pensieri si sfoghi anche all'estero di me, dove gli altri possono vedermi, dove lui può scorgere quanto mi abbia scosso rivedere quei momenti dove tutto sembrava così perfetto. Sembrava. Esatto. Perchè dietro a quello scenario quasi onirico e rarefatto, si celava un dolore smisurato e incontenibile che alla fine è scoppiato, e come disse lui, quella supernova ha finito per dividerci.

James ha ragione. Come un egoista ho sempre visto sempre e me stesso, ciò che provavo, pensando che solo io a questo mondo soffrivo e per quanto io adesso mi senta in colpa, appesantito da un rimorso che continua ad assillarmi, non riesco ad esternare la mia afflizione. E' come se avessi un blocco che mi strappa le parole di bocca, mi ferma il cuore e mi rinchiude nella mia torre buia dove rimarrò solo per sempre.

Quel bambino dall'anello di metallo nel mio caso non è stato abbandonato dal mondo, è lui stesso ad aver abbandonato quest'ultimo troppo intimorito da ciò che ne consegue. E fa male non conoscere cosa si prova a perdonare, chiedere scusa, vivere il proprio tormento in maniera più aperta. Così semplicemente mi chiudo, come in questo momento nel mio silenzio, dentro di me grido ma fuori nessuno mi sente.

Mio padre al mio fianco chiude il computer fermando quei ricordi ma quando tenta di guardarmi io volto il capo dall'altra parte per nascondere la lacrima che mi riga il volto, mostragli quanto ti dispiace mi intimo, ma non ci riesco. Così semplicemente cancello il segno del mio cedimento, asciugando in fretta il mio pianto e rimanendo in silenzio. Voglio andarmene, alzarmi e rinchiudermi in camera mia ma per la prima volta non voglio che pensi che io lo rifiuti, che io lo ripudi, non voglio che creda che ciò che ho visto per me non abbia significato nulla perchè non è così. Quelli eravamo noi, ero io quel bambino che stringeva come fossi la sua più grande gioia, erano a causa mia quelle lacrime di gioia che gli rigavano il viso al solo suono della mia prima parola. Ha sofferto come me la sua mancanza, ed io lo sapevo, ma non volevo vederlo.

Mi dispiace di essere stato così egoista e avaro, vorrei dirgli ma non ci riesco. Scusa papà.

D'un tratto una mano morbida e dolce mi accarezza la spalla scorrendo per arrivare al petto, la riconosco quasi inconsapevolmente come se per me ogni tocco fosse diverso, difatti il suo per me rimarrà sempre il mio preferito. Mia madre in piedi dietro al divano ci avvolge un braccio intorno al collo di entrambi attirando la nostra attenzione. A quel punto quando volto il capo, noto quanto siano lucidi gli occhi di mio padre, ma quanto brillino quando incontra quelli di sua moglie che probabilmente ha assistito anche lei ma in disparte, a questo nostro momento. <<I miei due uomini.>> Ci stringe entrambi a sè, poggio il viso nell'incavo del suo collo e il profumo di mia madre è come il rifugio che ho atteso per anni, il nascondiglio che sto iniziando a riconoscere come mio. Mi poggia un bacio tra i capelli scombinati e sorretti da quella bandana che lei mi regalò e che io non mi tolsi mai, consapevole paradossalmente senza saperlo che lei prima o poi sarebbe tornata. <<Basta litigare o soffrire, ora siamo tutti insieme.>> Ed è vero, ora niente potrà mai dividere la nostra che finalmente è veramente una famiglia, ma probabilmente a me ci vorrà ancora molto per arrivare a comprendere veramente qualcosa che non ho mai potuto comprendere. Juliette compare in salotto saltellando felice come non l'ho mai vista venendosi a buttare sul divano insieme a noi, mi si siede in braccio ed io la stringo baciando quei suoi capelli morbidi. <<Tutti insieme.>> Lancio un'occhiata sorpresa a mia madre che comprende il mio stupore, se sono tornate insieme e ora sono entrambe così felici vuol dire soltanto una cosa: hanno fatto pace. <<Avete comprato il vestito?>> Mio padre si alza per raggiungere la sua fanciulla, le stringe le braccia intorno ai fianchi con la naturalezza di un amore che invidio, lei gli allaccia le braccia al collo e gli occhi ai suoi, con un sentimento tanto forte in quelle iridi verdi che vorrei vedere in altri occhi. In quel bosco che ora mi sta lasciando fuori. <<Sì, è bellissimo.>> Interviene Martina entrando in salotto con diverse buste enormi in mano che probabilmente contengono gli abiti, hanno fatto molte spese a quanto pare. <<E posso vederlo?>> Prova Damon ma subito viene bloccato con un cenno del capo negativo da parte di mia madre, mi sa che dovrà tenere a bada la sua curiosità fino al giorno delle nozze.

Fatal attraction 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora