CAPITOLO 11

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AIDAN


Non gli credo, io in lui ho smesso molto tempo fa di crederci e così, come un tratto leggero di matita su una tela robusta a contatto con una gomma, ho cancellato dalla mia testa la sue menzogne, non riuscirà ad abbindolarmi con le sue cazzate. Tutte parole che usa soltanto per cercare di confondermi, sono cresciuto con il peso del suo sguardo carico di odio addosso, ogni giorno quando lo guardavo e lo guardo tutt'ora, leggo il pentimento che prova per aver scelto me, non è corso subito da lei perchè ha dato la priorità a me e se ne pente ogni giorno di più, si pente di aver scelto me e non Isabelle e lo leggo dal suo sguardo che mi trafigge l'anima, ormai puntinata da coltellate che la trapassano e lei inerme si sottomette dal dolore.

Mi sta infliggendo pene che non merito ogni giorno da quando sono nato per vendicarsi del dolore che ha provato perdendo sua moglie, si sta sfogando su di me da quando ho iniziato a respirare per avergli portato via la donna che amava, e io lentamente mi sto spegnendo non riuscendo più a sottostare al caos che gli gira in testa. Mi sta uccidendo ogni istante di più con la sua indifferenza, il suo rancore cresciuto dalla forza del passato, le sue azioni spinte dalla collera di una mancanza, mi ha distrutto l'infanzia, mi sta distruggendo adesso e non voglio continuare questa tortura perchè sono sicuro che se dovessi andare avanti, tutto ciò si amplificherà soltanto.

Ed è quello che vorrebbe che gli dicessi lo stronzo di fronte a me che ancora cerca di spillarmi qualche parola, ricevendo soltanto un costante silenzio come al solito. E' la terza seduto a cui sono costretto a presenziare per quelle teste di cazzo dei miei familiari, non si rendono conto di star spendendo soldi a vuoto, io mi siedo su questa poltrona in pelle lavorata, senza dire o pensare nulla mentre il mio sguardo rimane fisso in quello di un vecchio in camice che cerca di intraprendere un discorso con me, ma con scarsi risultati. Lo esamino spesso quest'uomo, sono una persona molto attenta ai dettagli e quando sono in compagnia di qualcuno mi focalizzo molto su analizzare la loro persona con attenzione e riuscire a giudicare da ciò che tipo sono.

So che forse è sbagliato giudicare qualcuno dall'aspetto, ma io non mi limito a giudicare com'è vestito, io mi baso su qualcosa di più accurato. Ad esempio il dottor. Mccartney porta un paio di occhiali dalla montatura fine e semplice di un grigio che a stento si nota su quella sua carnagione chiara, il riflesso del sole ne colora le ditate che vi ha lasciato maneggiandoli continuamente per via del nervoso, e forse se ne accorge anche lui visto che con un sospiro se li sfila e prende a pulirli con l'apposita pezza custodita nella custodia di un blu antico. Questo dettaglio, le continue ditate sulle lenti segnano un velato senso di poca pazienza, per lavoro deve averne molta ma con anni di esperienza è riuscito in qualche modo a celarla con un comportamento impassibile, dando voce a questo suo fastidio con piccoli gesti come il continuo toccarsi gli occhiali che poi porta a questo. E' un tipo rigoroso e preciso, ma ai miei occhi persino i precisini del cazzo hanno qualche sbavature, anzi probabilmente sono in primis loro i più disordinati.

Con movimenti lenti e svogliati passa la pezza sulla lente continuando ad osservarmi quasi con dispiacere, non prova pena per me, solo dispiacere non richiesto a cui non riesco ad attribuire una sorgente, un motivo, un nucleo. <<Aidan, perchè si ostina a lasciarsi portare qui se tanto non trae beneficio dai nostri incontri?>> All'inizio delle sedute mi chiamava "Signor Miller", dalla seconda in poi ha iniziato a chiamarmi per nome rivolgendosi però a me sempre dandomi del "lei", anche se penso che prossimamente passeremo anche al "tu" viste le concessioni che si fa da solo. A me irrita quando la gente fa cose che mi riguardano senza chiedermi il permesso, ma non perdo nemmeno tempo a sottolineare ciò visto che sarebbe solo una perdita di tempo. <<Chi ha detto che non ne ricavo beneficio?>> Domando sarcasticamente con un pizzico di acidità alzandomi le maniche della felpa fino ai gomiti con fare annoiato, inizia a irritarmi dover stare rinchiuso qui dentro con un dottore di fronte che non sa fare il suo lavoro. <<Parlando con lei ho la continua conferma di quanto al giorno d'oggi siano incompetenti le persone.>> Non controbatte incassando le mie parole in silenzio, nel mentre ripiega con assoluta attenzione la pezza morbida una volta aver pulito con cura le lenti e la ripone nella custodia inforcando di nuovo gli occhiali, che poggiano nella conca che si sono scavati sul suo naso gobbuto. <<E da cosa deduce ciò?>> Lo chiede con pacatezza senza far trapelare fastidio dal suo tono di voce graffiante e grave, mantiene sempre un certo vigore e una certa impassibilità senza lasciare che nulla incrini il suo stato di tranquillità. Non si è scomposto neppure alla mia precedente sfuriata, durante l'ultima visita qualche giorno fa. Sembra quasi mi stia dando corda, accoglie le poche parole che gli rivolgo, scottanti o maleducate che siano, come se servissero evidentemente a capire qualcosa di me e ciò mi infastidisce alquanto. <<Porre continue domande al paziente sperando in una risposta, lei è pagato per far aprire il suo cliente e lasciarsi raccontare il dolore che egli risente, ma è talmente focalizzato sullo scoprire cose nuove del suo paziente che tralascia un fattore importante.>> Assottiglia lo sguardo con velata curiosità, vuole capire dove voglio andare a parare, trovare il dunque del mio discorso senza pressarmi a concludere. <<Una persona non si apre se non è messa a suo agio, e con ciò non sto dicendo che deve trovare un modo per farmi sentire così e sperare che le parli, semplicemente perchè non accadrà, ma è un consiglio che le do per i prossimi clienti che avrà, visto che, come ho già detto, lei non sembra capace di fare il suo lavoro.>> Gli do nuovamente dell'incompetente e lui questa volta increspa l'angolo della bocca dalle labbra sottili e screpolate, in un sorriso quasi invisibile, un accenno di divertimento irreale, che solo un occhio attento nota. Scarabocchia qualche parola sul suo block notes amato, e ripoggia così la penna stilografica sulla scrivania con precisione, non è mai disordinato, ma dentro potrei giurarci che anche lui non concepisce realmente il veritiero ordine delle cose che ci circondano. Non riesco a leggere e men che meno quindi a capire cosa si appunti costantemente, soprattutto ora, ma alla fine non ho nemmeno veramente voglia di scoprirlo. <<Lei è audace Aidan, glielo devo riconoscere.>> Asserisce quasi con rallegrata freddezza riportando lo sguardo su di me, qui, seduto sulla poltrona dirimpetto alla sua scrivania dall'ordine maniacale, che lo guardo quasi con superiorità. <<Diretto, coscienzioso, assenteista, imperturbabile, irrazionale e incontrollato, così mi descriverei.>> Elenco con svogliatezza. <<"Audace" trovo che non mi calzi bene, chi è additato da tale nomina trovo sia solo una persona che finge di conoscere la furbizia, quando non capisce che si sta solo facendo fottere dalla realtà.>> Impugna nuovamente la pena tingendola nell'inchiostro e appuntarsi poi altre cose a me sconosciute, è ancora all'antica, non usa penne comuni è come se ancora fosse affezionato a ciò che è passato.

Fatal attraction 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora