CAPITOLO 57

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AIDAN

Buio.

Nel mio mondo aveva vita soltanto esso.

Non vi era una stella in cielo, un soffio di vento a scombinarmi i capelli, un fruscio a distrarre i miei pensieri che sembravano aver deciso di tacere per mimetizzarsi nel nulla dei miei soliloqui mentali. Era strano. Non ho mai capito come fosse possibile ma in qualche modo in quei momenti la mia mente riusciva a distinguere le situazioni. Stavo sognando e lo sapevo. Questo era strano. Controllare persino i miei sogni quando a stento la realtà riuscivo ad accarezzarla di sfuggita, da sveglio la vedevo scappare da sotto ai miei occhi, di notte, quegli occhi si sbarravano di un nero profondo in cui potevo vedere, disegnare e stringere tutto ciò che volevo.

Paradossalmente la mia realtà prendeva vita nel mio mondo parallelo, quel mondo dove io ero chi volevo, la mia vita era solo mia e i miei occhi finalmente rispecchivano sulla mia realtà i miei pensieri.

Mio.

Mia.

Miei.

Ad occhi chiusi mi impossessavo del controllo.

Eppure tutto ciò era come sfumato da molto ormai, non avevo più modo di controllare neppure ciò che mi circolava in testa e odiavo questa cosa. La odiavo persino nel sonno. Che stronzata. E solo perchè la vedevo persino in quei momenti. Odiavo che fosse tutto così dannatamente perfetto quando la vedevo lì con la mia vita tra le mani.

Bella come una margherita in primavera nel suo giardino, con quei suoi capelli scuri che le cadevano morbidi come la seta su quelle sue spalle gracili e magre spoglie su cui passavano soltanto i fili delle bretelle della veste bianca che indossava con la sua grazia smisurata. Bella che sembrava un angelo. Il suo viso armonico dai tratti delicati, il sorriso brillante e quelle iridi verdi che gioivano, si illuminavano per qualcuno che non ero io.

Io per lei in quel momento non esistevo, e sembrava quasi paradossale poichè lei era nella mia testa.

Eppure mentre io la guardavo, ammiravo incredulo, contemplavo la sua bellezza e ne rimanevo incantato i suoi occhi non incontravano mai i miei. Nulla, per lei non ero niente.

Tra le sue braccia dormiva quieto un bimbo di una bellezza magnetica, lei lo cullava dolcemente con l'apprensione e l'amore che solo il cuore di una madre può conoscere, mentre quelle sue pietre di quel verde brillante lo accarezzavano di attenzioni. Ne ero quasi geloso, quel bambino l'aveva praticamente rapita, me l'aveva tolta. Ho forse non accettavo soltanto di averla già persa.

Il pianto stridulo e genuino di un altro bimbo però d'un tratto riempì le mura di quella stanza piccola, la cameretta che presumevo appartenesse al piccolo che stringeva con tanto affetto tra le braccia esili, piena di giochi e colori, il sogno di ogni bambino. Stando attenta a non svegliare la dolce creatura che cullava, si avvicinò ad una delle pareti della stanza ed è lì che vidi che in una culla, di un rosa cipria, piangeva un'altra bimbetta dolcissima. Che fossero gemelli? Erano suoi? <<Tesoro devi avere fame.>> Sussurrò con un sorriso mozzafiato sulle labbra, quelle labbra morbide a cuore. Guardami mormoravo, lei non mi sentiva. Mise il figlio che stringeva tra le braccia nella culla insieme alla sorellina ma quando si giro per avviarsi verso il mobile per prendere il biberon alla piccola.

Alle sue spalle,

Apparvi io.

Io.

Mi si mozzò il fiato.

Mi guardava ma i suoi occhi non erano su di me.

Quello non ero io eppure quell'uomo davanti a lei ero io, stavo impazzendo, i suoi occhi verdi mi guardavano con un amore che mi affondò una coltellata al cuore, le sue mani mi accarezzavano il petto finendo poi per cingermi intorno al collo. I miei occhi viaggiavano su di lei, e ne ero fottutamente geloso, non ero io ad avere la fortuna di averla addosso, ad avere la sua attenzione, a sentire sulla pelle quel sentimento che mi stava gridando in silenzio. Quando sospirò il mio nome con dolcezza un brivido mi attraversò le ossa. Mi stava amando come sognavo che succedesse nella realtà. Ciò che avevo davanti era tutto ciò che desideravo dalla vita.

Fatal attraction 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora