3. Stella

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Il vento della notte mi scompiglia i lunghi capelli biondi; la fretta nel raggiungere la fermata dell'autobus non mi ha fatto indossare la felpa, e ora le mie braccia nude sono coperte da pelle d'oca. Siamo ormai alle porte dell'inverno, e quest'anno in Nevada sembra voler arrivare prima.

Mi fermo sul ciglio della strada, in mezzo a un gruppo di ragazzi troppo entusiasti di passare la loro prima notte in un casinò da parlarne ad alta voce. Tamburello con il piede a terra in attesa che il semaforo diventi verde, e poi sfreccio nuovamente tra le strade della città.

A pochi metri da me, vedo finalmente la fermata del bus. Un paio di persone sono sedute ancora in attesa, altre sono in piedi sul marciapiede che controllano l'orologio al polso; alcune fumano, altre ancora parlano al telefono.

«Ce l'ho fatta» ansimo piegandomi in avanti.

Appoggio le mani sulle ginocchia e faccio respiri profondi. Ho il cuore in gola e le gambe mi tremano. Una goccia di sudore mi cade lungo il collo, dove i capelli si sono appiccicati fastidiosamente.

Mi rimetto più composta, mi tolgo lo zainetto dalle spalle e mi infilo impacciata la felpa bianca.

Il cellulare vibra nella tasca dei jeans; lo sfilo e guardo chi mi sta chiamando.

«Grandioso» sbuffo.

Mi incammino più vicina alla fermata e rispondo ancora ansimante.

«Dimmi, mamma.»

«Ciao anche a te, bimba mia. Come stai? Che cosa fai di bello? Dovresti rispondere così a una chiamata di tua madre.»

Mi fermo a un passo di distanza dalle altre persone per non sentirmi soffocata dalle sue parole, e per evitare che anche gli altri soffochino sotto alla sua presenza. Non ha importanza dove si trovi in questo momento, una sola parola, una sola esclamazione, e chiunque ne avrebbe sentito la presenza come se mia madre fosse proprio lì, nella fermata insieme a noi.

«Come stai mamma? Che cosa fai di bello?»

«Io e tuo padre siamo appena arrivati a casa» risponde entusiasta.

Casa. Quale? Quella in Francia? In Canada? In Cina?

«Grandioso. Dov'eravate questa volta?»

«Parlami prima di te, tesoro. Non ci sentiamo da troppo tempo!»

Resto senza parole. Aspetto qualche secondo ma lei resta in silenzio. Vuole realmente ascoltare la mia risposta.

Un piccolo sorriso mi sfiora le labbra.

«Ho appena finito di lavorare, oggi è stata una giornata abbastanza impegnativa.»

Il continuo silenzio dall'altra parte della cornetta, mi incita a continuare con un po' più di sicurezza. Mi raddrizzo bene con la schiena e gonfio il petto.

«Timothy, il mio datore di lavoro, te lo ricordi? Be', insomma, lui-»

«Scusami Stella, tuo padre mi stava raccontando una cosa» ridacchia divertita.

Un secondo sorriso mi bacia le labbra, questa volta più rassegnato.

«Be', lo sai dove siamo ora? In Africa! Cavolo Stella, dovresti vedere che posti ci sono qui!»

Riprende a parlare come sempre, a riempirmi di dettagli inutili e non richiesti, mettendo a tacere le mie speranze senza senso. Sorrido alla mia stupidità.

Avrei mai smesso di ferirmi in questo modo, aspettando un passo da parte loro che non sarebbe mai arrivato?

«...adesso ci riposiamo e poi vedremo dove andare.»

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