21. Damon

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«Sei sicuro?»

Guardo Xander e allargo le braccia. «Non ti sembra un po' tardi per chiedermelo?»

Indico quello che ci circonda. Siamo in un piazzale disabitato, di fronte a una fabbrica in disuso. L'edificio enorme a qualche decina di metri da noi, è divorato dalla natura che corre lungo le pareti, entrando di tanto in tanto dalle finestre rompendone alcune.

Non si sente volare una mosca. Siamo fuori città, ed è il luogo in cui portiamo chi ha qualche debito irrisolto con la Croce Nera.

«Marcus si incazzerà forte» borbotta.

Mi incammino verso l'entrata dell'edificio, seguito da Xander alle mie spalle.

«Ti garantisco che sono molto più incazzato di lui.»

«Lo sarei anche io, credimi. Fare così però-»

«Vuol dire peggiorare le situazione.»

«Almeno lo sai» sospira scompigliandosi i capelli grigi.

«Te l'ho detto, Xander. Io so sempre quello che faccio.»

Lo guardo con un sorriso arrogante.

«Quindi sai anche che, dopo oggi, dichiari ufficialmente guerra contro Marcus?»

Mi fermo di scatto. Faccio un respiro profondo e guardo prima il cielo e poi la punta delle mie scarpe.

«Prima di tutto,» prendo parola e poso lo sguardo su di lui. «Solo un idiota, dopo due anni, non avrebbe capito che gli ho già dichiarato guerra il primo giorno che ha messo piede al Genie.»

Ho chiaramente detto a Yonas che tenerlo nella Croce Nera sarebbe stata la cazzata più grande del secolo. Con queste parole. Di fronte a Marcus. Puntandogli contro una mano.

«L'hai minacciato con una lama.»

Una mano armata.

«Secondo,» riprendo parola alzando contrariato un sopracciglio e fingendo di non aver sentito il suo borbottare. «Mettere mano a quei documenti, è una mossa che avrebbe potuto far mettere me nei casini con Yonas. Nei casini seri. Se non me ne fossi accorto, non me la sarei cavata con una cazzo di ramanzina. Quindi si può dire che sia stato lui a dichiarare guerra per primo.»

Riprendo a camminare.

«Non puoi essere certo che sia stato Marcus. Sai meglio di me che una cosa che odia il capo, è quando accusiamo qualcuno della famiglia senz-»

«Troverò quelle cazzo di prove!» esclamo bloccandomi di nuovo. Mi volto a guardare Xander con fiamme vive negli occhi. «Non l'ho portato qui solo per i soldi.»

«Centra qualcosa con Marcus?» chiede sorpreso con un filo di voce, indicando il capannone ormai a pochi passi da noi.

«Ne sono certo.»

Raggiungiamo la grande porta in metallo; Xander l'afferra da un lato, io dall'altro; con forza la facciamo scorrere lungo l'edificio, aprendola in un lamentoso cigolare acuto.

Di fronte a noi c'è l'enorme e vuota sala della fabbrica in disuso. O almeno, vuota in un momento qualsiasi. Non in questo.

In mezzo alla stanza cementata, un uomo con il volto coperto da un cappuccio nero è seduto in una sedia in legno: le mani legate dietro alla schiena, e gambe e piedi stretti in una corda. Attorno a lui, un paio dei nostri uomini che si sono assicurati che non facesse casino.

Faccio segno a uno di loro di chiudere la porta alle nostre spalle, e in pochi secondi la sala cala nell'ombra. La luce del sole entra dalle finestre rotte nell'alto dell'edificio, ma non tocca il pavimento.

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