27. Stella

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Raggiungo il Ti bar con i polmoni in fiamme. Le gambe mi bruciano e fatico a respirare. Mi devo fermare a metà della via dei negozi e piegarmi sulle ginocchia per riprendere fiato e non vomitare dallo sforzo.

Già da lì però, capisco che la mia corsa non è stata inutile. Capisco che ogni mio sospetto si è tramutato in realtà.

Tutte le vetrine dei negozi che mi circondano, sono chiuse. Le serrande sono abbassate e per la prima volta non vedo nessun paio di occhi che prova a scrutare la situazione nascosti dietro a tende o angoli del viale.

No. Quella strada sembra divorata dalla morte che zittisce ogni suono, ogni rumore, ogni luce.

Faccio fatica a deglutire, la gola è stretta e contratta.

Mi avvicino al Ti bar e due uomini vestiti di nero sono in piedi vicino alla porta d'entrata. Sono fermi a custodirla, ad accertarsi che nessuno la varchi: uno con le braccia incrociate al petto e uno sguardo annoiato sul viso, l'altro con spalle larghe e una sigaretta tra le labbra, è appoggiato alla parete e sembra disinteressato alla situazione e sposta lo sguardo da una parte all'altra della strada.

Scuoto la testa negando quello che sta accadendo.

Mi piazzo davanti a loro attirando l'attenzione di entrambi; nessuno dei due però, sembra preoccupato dalla mia presenza, anzi. L'uomo alla sinistra, con corti capelli castani e un accenno di barba, mi controlla per pochi secondi per poi spostare lo sguardo quasi ad aver deciso che non sono un problema.

Sono vestiti di nero dalla testa ai piedi, sembrano ombre venute a prendersi l'anima di Tim.

Mi metto in punta di piedi, ma oltre alle luci accese del bar non riesco a vedere nulla. Faccio un altro passo avanti e il secondo uomo con la sigaretta tra le labbra, allunga il braccio verso la porta, bloccandomi il passaggio.

«Non si può entrare. Il locale è chiuso. Sono sicuro che se vai in centro troverai qualcosa di meglio.»

La sua espressione è seria. Non sta scherzando, e forse questo mi manda ancora più fuori di testa.

Lo guardo inorridita.

Alle sue spalle, qualcuno del suo gruppo sta probabilmente mettendo le mani addosso a una persona, e lui resta qui a suggerirmi i locali più belli della zona dove posso andare a divertirmi.

Serro le mani a pugno, incurante della ferita che mi brucia sul palmo. Guardo negli occhi l'uomo di fronte a me e apro leggermente la bocca, ma non trovo nulla da dirgli.

Un rumore sordo di mobili strusciati a terra, mi riporta il cuore in gola. Non sono questi due la mia priorità ora.

Memore dell'ultimo incontro fatto proprio davanti al Ti bar, mi volto per nascondermi mentre tiro fuori il cellulare dalla tasca della felpa. Devo chiamare i soccorsi, e devo farlo in fretta.

«Non lo fare» mi ammonisce uno dei due alle mie spalle, con voce stanca.

Faccio un passo distante dall'entrata e compongo il numero.

«Ragazzina!»

Un grido glaciale, doloroso e intenso blocca ogni mio movimento. La voce di Timothy mi entra nella testa, mi preme le tempie in un crampo ingestibile che mi porta la nausea dritta in gola.

Mi volto di scatto verso il bar, terrorizzata per quello che gli sta accadendo. Mi trovo di fronte l'uomo che fuma ancora la sigaretta come se niente fosse; con le braccia tese era pronto per afferrarmi il cellulare dalle mani, ma io mi abbasso e lo supero cogliendolo impreparato. Raggiungo la porta d'entrata con gli occhi che mi pizzicano dalla paura e le mani che mi tremano.

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