28. Damon

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Il suo sguardo è chiaro: non sono più il Damon che l'ha salvata quella notte di settimane fa, ora sono solo il demone che teme e da cui deve scappare.

Le lacrime le ricadono dal viso senza freno; l'espressione di Stella è talmente dolorosa da faticare a gestirla, ma non sposto lo sguardo. No. Me la merito tutta, devo assicurarmi di osservarla in ogni più piccolo particolare; deve ferirmi fin dentro alle ossa, lacerarmi il cuore e ricordarmi in ogni istante chi sono.

Che persona sono.

Un piccolo capogiro la fa ciondolare sul posto. Allungo la mano per afferrarla ma lei fa un passo indietro e si afferra alla maniglia della porta alle sue spalle.

Non c'è più la piccola Stella che si aggrappa con entrambe le mani alla mia, rannicchiata nel buio della notte e alla ricerca di un riparo. Ora, ho davanti una ragazza che guarda la mia mano con dolore, vedendoci per la prima volta la lama che impugna.

Si asciuga il viso con la manica della felpa; prova ad aprire bocca più e più volte e io aspetto. Resto in attesa perché so che ha così tante cose da sputare, che se non lo fa, ne resterebbe avvelenata a vita.

«Dimmi che ho capito male» scuote la testa con un sorriso incerto bagnato dalle lacrime. «Dimmi che non è come credo e che c'è una spiegazione assurda per tutto questo!»

Non abbasso lo sguardo, lo tengo fisso sul suo.

Deve vedermi, vedere chi sono, capirlo una volta per tutte.

Stella assorbe il mio silenzio con rassegnazione; nasconde uno singhiozzo dietro la manica della maglia.

«Quindi...» tira su con il naso e si fa forza. La vedo accendersi all'improvviso nelle sue iridi chiare. «Quindi è questo quello che fai davvero per vivere?»

Indica la vetrata alle sue spalle, dove i miei uomini sono fermi in attesa. Dove il suo amico sta versando sangue e soffrendo a causa nostra. Mia.

«Non lo faccio per vivere» rispondo con un filo di voce.

Mi faccio forza. È arrivato il momento.

«Non è il mio lavoro» scuoto la testa e sorrido con tristezza. «Non l'hai capito ancora? Questa è la mia vita, Stella! Non è lavoro! Io sono questo.»

Con la dignità a ridarle colore al viso prima pallido dallo choc, storce la nuca e corruccia la fronte in un'espressione incredula.

«Tu sei questo?» sibila.

Allargo le braccia. «Sì.»

«E ne vai fiero? Vai fiero di chiedere soldi a chiunque in zona? Di aver picchiato a sangue un uomo che si rifiuta di pagarti? Di ridurre al lastrico le persone e di metterle le une contro le altre?»

Un'altra lacrima le ricade dagli occhi.

Un crampo al cuore mi toglie il respiro: per il suo pianto, per la mano fasciata che sventola davanti al mio sguardo, per il tremore alle gambe che non sono certo si renda conto di avere, per ogni singola parola sputata.

No.

No!

Non ne vado fiero. Non me ne vanto. Non mi diverto.

È questo che vuoi sentirti dire?!

«Non sai nulla» ringhio.

Non sa nulla di Yonas, di noi, dell'unica famiglia che ho. Non sa niente della mia vita e del mio passato.

«Non so nulla di te, hai ragione.» I suoi occhi non si scostano dai miei. «Ma so quello che ho visto oggi. E qualsiasi motivazione ti dai per quello che fai e hai fatto, Damon, è una grandissima cazzata.»

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