24. Stella

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Passano minuti infiniti mentre seduta sulla sedia del bar, Timothy mi fascia con cura la mano. Momenti di un silenzio talmente pesante e opprimente, da sentirmi soffocare.

Resto a testa bassa a fissare il cerotto bianco sul palmo che si tinge già di rosso.

«Ti dispiace» la voce mi esce rauca e bassa. Mi schiarisco la gola e riprendo parola. «Ti dispiace se oggi, vado a casa prima?»

Alzo a fatica lo sguardo e incrocio quello preoccupato di Tim. I suoi occhi chiari cercano di studiare la mia espressione.

«Se ti obbligassi a restare, non me ne parleresti lo stesso, vero?»

«Direi di no. Ma posso restare se hai bisogno.»

Mi accarezza la mano ancora ferma tra le sue; me la stringe con un po' più di forza stando attento a non farmi male. «Vai a casa e riposati. E se avrai bisogno anche di domani, prenditi la giornata libera.»

Scuoto la testa.

«Non ce n'è bisogno.»

Mi alzo dalla sedia ma Tim mi afferra per un polso attirando nuovamente la mia attenzione su di lui.

«Decidi domani mattina se ce ne sarà bisogno.»

Annuisco in un movimento quasi accennato. Timothy aspetta ancora qualche secondo prima di lasciarmi il polso, e quando sono libera dalla sua presa, mi cambio in fretta nello spogliatoio e lo saluto.

«Fai attenz-»

La porta del Ti bar si chiude prima di riuscire a sentire la fine della sua raccomandazione.

Il sole è tramontato, il cielo è di una leggera sfumatura blu che anticipa il buio della notte. Non sento il freddo, non sento il chiacchiericcio della persone che camminano lungo la strada. Sento appena il pulsare doloroso della ferita.

«Brutta serata, eh?»

Mi volto di scatto a pochi metri dall'uscita della via dei negozi.

Poppy Clegg si avvicina come un gatto randagio, silenzioso e con un doppio scopo. Solo a vedere i suoi capelli ramati raccolti come sempre sulla nuca, e la sua espressione seria ma in cerca di news, mi viene il voltastomaco.

È tutta colpa sua.

Mi mordo con forza il labbro e taccio. So che se mi fermo a parlare con lei direi cose che la ferirebbero, urlerei e probabilmente piangerei di nuovo. E sono stanca di fare anche questo.

Mi volto nuovamente verso la strada e riprendo a camminare, ma lei mi afferra per un braccio e mi ferma.

«Mi dispiace!» esclama.

Ha origliato tutto.

«Per cosa, di preciso?» guardo il cielo alla ricerca di un po' di forza e poi sposto lo sguardo sui suoi occhi scuri.

Scuote la testa e abbassa lo sguardo sulla mia mano. Non è dispiaciuta per aver scritto l'articolo, e dirmi che le dispiace che mia madre mi ha trovata, vorrebbe dire ammettere di aver fatto un errore a pubblicarlo.

E la cosa che più mi fa male, è che la capisco. Ha ragione. L'ha fatto per Timothy, per la sua sicurezza. Io sono solamente un effetto collaterale di poca importanza.

Sposto con forza il braccio dalla sua presa.

«Non spiare quello che succede davanti al bar e non origliare quello che accade dentro.»

«Ero passata per altro.»

Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo.

Non voglio davvero parlare con lei.

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