25. Damon

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Parcheggio nel retro del Genie e scendo dall'auto sbattendo con forza la portiera alle mie spalle.

Mi sento pizzicare la pelle del corpo, contrarsi ogni muscolo che muovo. Lava incandescente che mi scorre al posto del sangue e gas tossico che respiro al posto dell'ossigeno.

Mi sento sul punto di esplodere e al tempo stesso anche in apnea.

Xander cammina avanti e indietro davanti alla porta secondaria del Genie. È nervoso, lo si capisce dalla rapidità con cui alza la nuca non appena sente lo sbattere violento della portiera.

I suoi occhi glaciali mi puntano a metri di distanza, ma parlare è l'ultima cosa che voglio fare. Soprattutto con lui.

Devo concentrarmi per non urlare, non prendere a pugni la parete; per allontanare il calore della fronte di Stella dalla mia mano, la sua mano ferita dai miei occhi e la sua voce carica di dolore e speranza che continua a risuonarmi nella testa, premendomi sulle tempie e facendomi impazzire.

Raggiungo Xander che mi squadra da cima a fondo, afferro la maniglia della porta senza ricambiare il suo sguardo ma, ovviamente, mi ferma afferrandomi per un braccio.

«Dove cazzo eri? Ti ho cercato ovunque.»

«Evidentemente non proprio ovunque.»

Mi scrollo la sua presa di dosso ed entro dal retro del Genie, ritrovandomi di fronte alla porta oscurata della sala vip.

Ivan mi guarda sull'attenti.

«I ragazzi? Sono pronti?» chiedo diretto.

Annuisce.

«Digli di prendere i loro posti in auto. Subito.»

Afferra il cellulare e chiama a rapporto i miei uomini perché si presentino nell'immediato nel retro del Genie. Quando riaggancia, mi fa cenno col capo che è tutto fatto.

Un nodo mi stringe la gola.

Gli do le spalle ed esco nuovamente da lì, fermandomi fuori dalla porta che si chiude alle spalle di Xander.

«Damon!»

Mi afferra nuovamente per il braccio e con gesto violento lo spingo via.

«Non ora, cazzo!» esclamo.

Ho il respiro corto, i muscoli contratti e il petto gonfio di rabbia per quello che sto per fare. I nostri sguardi sono tanto vicini da non riuscire a nascondergli nulla.

«Non me lo chiedere, Xander. Non farlo ora» lo imploro con un filo di voce completamente in contrasto con ogni mio gesto.

Il suo sguardo si addolcisce all'improvviso. «Sei andato da lei.»

Reggo le sue iridi chiare per pochi secondi e abbasso la nuca. Colpevole.

«Sei andato da lei e hai chiuso. È così?»

Non mi rinfaccia che avrei già dovuto farlo. Non mi dice che sono un coglione che ci ricade di continuo. Non mi punta il dito perché da bugiardo codardo non glielo avrei mai detto.

Codardo. Stella ha fottutamente ragione.

Punto i miei occhi neri sui suoi.

«Avevo alternative?» sussurro.

Il rombo dell'auto riempie la via alle mie spalle. I ragazzi sono pronti.

«Andiamo?» chiede Xander afferrandomi una spalla.

Vorrei chiedergli ancora una volta quali alternative ho. Ma conosco già la risposta.

Annuisco e raggiungiamo la Mercedes che ho parcheggiato poco prima. Saliamo in auto e, seguiti dalla macchina dei ragazzi, corriamo lungo il centro di Crimson Hollow con un unica meta: il Ti bar.

«Posso chiederti perché?» prende parola Xander dopo pochi minuti di viaggio.

«No.»

«Dimmi solo che non ci sei andato di proposito.»

«Non l'ho fatto.»

Xander, alla guida, approfitta del traffico serale per voltarsi un attimo a osservarmi. Cerca di capire se sono sincero o se rispondo alle sue stupide domande con altrettante stupide risposte, ma non arriva a capirlo

E a dire il vero, neanche io.

«Mi prendi per il culo?» sospira.

Porto lo sguardo fuori dal finestrino dell'auto, verso i palazzi illuminati che sfrecciano lungo la strada.

«Sono uscito a bere qualcosa» ammetto con un filo di voce. «Ma quando l'ho vista, non ero più certo di averlo fatto davvero per quello» mi scappa una risata. «Potevo farlo al Genie ma, fino a quando non mi sono imbattuto in lei, non ci sono arrivato che mi stavo raccontando una cazzata.»

«Coglione» sussurra.

Lo sono.

«Quindi è stata lei a metterci un punto» aggiunge poco dopo.

Xander svolta a destra e io lo guardo senza dire una parola.

«I coglioni codardi come noi, Damon, non sono in grado di fare nulla con tipe come loro.»

Concentra il suo sguardo sulla strada e io lo so che, per una volta, lo fa per evitare di guardarmi. Perché le parole che gli escono dalla bocca possano restare appunto solo questo, senza trasformarsi in ricordi, dolori, incubi che so che lo tengono sveglio ancora ogni notte e che probabilmente lo faranno per tutta la vita.

«Siamo fatti per trovare donne come loro» riprende parola. «Che sanno come prenderci, che hanno le due palle che a noi mancano e che non hanno paura a usarle. Soprattutto quando si tratta di allontanarci.»

«Lei è tornata da te, però.»

La macchina si tuffa in un silenzio doloroso e assordante.

«Mi pento in ogni istante.»

«Di averla tenuta al tuo fianco?»

Scuote la testa.

«Di non averlo fatto abbastanza.»

Annie.

Riesco a sentire il suo nome sussurrato dall'aria che esce dai bocchettoni della macchina, che scompiglia i capelli di Xander, che gli fa stringere con forza il volante dell'auto.

«L'hai protetta come meglio potevi.»

La sua cicatrice sotto l'occhio riflette la luce dei lampioni a ricordargli in ogni istante quello che ha perso. Quello che aveva.

«Anche tu.»

Deglutisco a fatica e non trovo le parole per rispondergli.

Tra pochi minuti saremmo arrivati al Ti bar, avremmo messo le mani addosso al capo di Stella, il locale a soqquadro, minacciato di fargli peggio se non ci avesse versato il pizzo. O forse, gli avremmo fatto subito il peggio.

Chiudo gli occhi e mi ripeto soltanto una cosa: Stella sta male ed è a casa. È al sicuro. È lontana da tutto questo.

L'hai protetta come meglio potevi.

«Non ne sono certo» sussurro con un filo di voce.

Per farlo, non avrei ma dovuto avvicinarmi a lei.

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