23. Stella

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Spruzzo il disinfettante su uno dei tavolini interni del bar, e lo pulisco con cura con lo straccio.

Il tramonto aranciato illumina il locale dandogli un'atmosfera davvero rilassante. Amo quando le piastrelle vengono colpite dalla luce in questo modo, facendole brillare; così come il legno del bancone che riflette colori ambrati e dorati rendendo l'ambiente ancora più caldo e rilassante.

La campanella suona sopra la porta d'entrata e mi volto di scatto a guardare chi è arrivato: lo spruzzino stretto con forza nella mano sinistra e lo strofinaccio spiegazzato nella destra. Il cuore mi sale in gola e trattengo il respiro.

«Buongiorno Tim!» Il signor Denny entra nel locale con il suo solito sorriso a trentadue denti. «Oh, buongiorno anche a te, Stella.»

Mi saluta con un cenno della testa e il mio cuore rallenta all'improvviso.

«Buongiorno» sorrido.

Allento la presa sul disinfettante e faccio un lungo respiro.

«Dopo cinque giorni, direi che è arrivato il momento di smetterla di aspettarlo. Non credi?»

Timothy mi raggiunge senza fare rumore, appoggia il vassoio sul tavolo e mi fa sobbalzare dallo spavento.

«Eh?»

«Te lo dirò con altre parole: smettila di aspettare chiunque ti abbia piantata in asso.»

Lo guardo a bocca aperta. Il viso mi si tinge leggermente di rosso.

«Non provare a dirmi che non è come penso, perché è da cinque giorni che trattieni il respiro ogni volta che entra un cliente. Ho paura che prima o poi ci resterai secca» borbotta trattenendo una risata.

Chiudo gli occhi e mi mordo il labbro nervosa.

Come cavolo ha fatto a capirlo?

Faccio un respiro profondo e il nervoso mi serra la gola. Nervoso per essere stata scoperta, per continuare ad aspettarlo, per renderlo così ovvio.

Punto i miei grandi occhi verdi su di lui, offesi.

«Che c'è? Che ho detto adesso?» scuote leggermente la testa muovendo i suoi ricci chiari.

Gli spingo contro il petto lo spray disinfettante e lo strofinaccio, e mi dirigo con passo pesante dietro al bancone del bar.

Non te ne andare.

Non me ne vado.

Le sue stupide parole mi risuonano nella testa, insieme al mio risveglio, al suo vuoto lasciato la mattina; all'attesa del giorno dopo e di quello dopo ancora.

Butto fuori l'aria con violenza dal naso.

«Il solito, Denny?» chiedo con un sorriso.

Al suo annuire, tiro fuori il tagliere e tre arance.

Timothy mi raggiunge dietro al bancone, questa volta lo fa con un po' più di titubanza, non so se perché ha capito che non è il caso di darmi fastidio quella mattina, oppure per il coltello che tengo tra le mani.

«Ti ho fatto arrabbiare in qualche modo?» chiede con un filo di voce.

Affondo il coltello dentro all'agrume, tagliandolo in due.

«Siete davvero dei bugiardi» dico ad alta voce senza rivolgermi a qualcuno in particolare, o forse facendolo un po' con tutti.

Prendo la seconda arancia e la taglio con ancora più violenza.

«E anche dei codardi.»

L'agrume si apre in due e il succo cola sul tagliere.

«Lo sapete che è meglio starsene zitti che sparare promesse a vuoto?»

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