26. Stella

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Donte Lambert mi guarda con occhi rossi. Afferro il suo braccio per fermarlo, ma la sua pelle si scioglie sotto al mio tocco; si squaglia come gomma liquida che si appiccica tra le mie dita. Il mio battito accelera, sento il cuore in gola. Sposto la mano ma non riesco più a muoverla. Alzo lo sguardo sul suo, e le iridi rosse del macellaio lacrimano gocce di sangue che gli scorrono lungo il viso. Allarga la bocca mostrandomi i denti lunghi e aguzzi e mi sorride; la allarga ancora, e ancora, come un essere umano non potrebbe fare. Si avvicina con uno scatto al mio viso...

Apro di colpo gli occhi; sono seduta sul divano, ansante e con la fronte che gronda di sudore.

«Quando mi sono addormentata?» farfuglio portandomi una mano tra i capelli.

Guardo l'orologio appeso alla parete, e scopro di aver perso i sensi solo per qualche minuto.

«Cavolo, quel sogno mi è sembrato durare per ore» sospiro stropicciandomi gli occhi con entrambe le mani.

Dev'essere la febbre.

Mi alzo dal divano e mi colpisce un piccolo capogiro. Raggiungo la cucina e, dal primo cassetto, mi prendo una pastiglia di Paracetamolo. Mi appoggio al bancone aspettando che faccia effetto, e tiro fuori il cellulare ancora infilato nella tasca dei jeans.

Ho fatto davvero bene a lasciare Timothy da solo?

Sospiro con il senso di colpa che inizia già a soffocarmi.

Cerco il suo numero in rubrica e provo a chiamarlo. Mi basta sapere che se la sta cavando bene, che non ci sono tanto clienti.

Dopo qualche secondo, parte la segreteria telefonica. Aspetto un paio di minuti e ci riprovo.

Il risultato non cambia.

L'antipiretico inizia a fare effetto, lo sento dal cerchio doloroso alla testa che allenta la presa, dalle ginocchia meno tremanti e più sicure che mi tengono in piedi. Anche la ferita alla mano mi pulsa con meno violenza.

Ma soprattutto, lo capisco dalla lucidità mentale con cui provo a pensare al perché Timothy non mi sta rispondendo. Forse è troppo impegnato, forse mi sta evitando perché sa che se lo sento pieno di lavoro sarei corsa lì.

O forse...

Ripenso alle parole dette dal signor Lambert qualche minuto prima.

"Scherzi vero? Prima pubblicate nel giornale un articolo in cui mi si accusa di averti messo le mani addosso, potrei denunciarvi per diffamazione! E poi devo anche subire un attacco in piena regola come quello di tua madre senza essere risarcito? Dio! Per fortuna che oggi finisce tutto!"

Corruccio la fronte.

"Dio! Per fortuna che oggi finisce tutto!"

Il cuore mi sale in gola e corro con rapidità a mettermi le scarpe.

«No. No. No... Per favore, no...»

Esco di corsa di casa, e mentre percorro con rapide e lunghe falcate il tragitto verso il Ti bar, continuo a far partire la chiamata verso il cellulare di Timothy.

Lui però non risponde.

No.

No.

Ora capisco perché sembrava insistere che mi prendessi anche il giorno dopo libero. Capisco perché non ha insistito sul farmi restare. Capisco il perché del suo sguardo preoccupato ma anche grato che mi fossi ferita e, per la prima volta, avessi deciso di andarmene a casa.

Questa sera, anzi no... in questo momento, scade la data per pagare il pizzo.

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