37. Stella

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Un colpo alla porta mi fa aprire gli occhi all'improvviso. Non capisco se me lo sono sognato o se l'ho sentito per davvero. Mi rigiro sul divano e allungo la mano verso il cellulare che ho appoggiato a terra.

Sono le due di mattina.

Devo essermelo immaginata.

Mi porto la coperta sotto al mento ma un secondo colpo sordo e forte, mi fa scattare seduta.

Sposto lo sguardo verso la porta e le gambe nude si coprono di pelle d'oca.

Il battito cardiaco accelera e resto qualche secondo attaccata al divano con la paura di fare un solo passo verso l'entrata. Aspetto per capire se è qualcuno che sta provando a scassinare la serratura, stringendo forte il cellulare sul palmo della mano, ma i rumori sembrano essere improvvisamente terminati.

Deglutisco e mi faccio coraggio.

Mi alzo dal divano e, con piccoli passi silenziosi, mi avvicino alla porta d'entrata. Mi metto in punta di piedi e provo a controllare dallo spioncino ma non vedo nulla: è tutto nero.

Indugio su quella visuale oscurata, quando qualcosa si sposta. Il buio si allontana mostrandomi la chioma scura di uno sconosciuto.

No.

Non uno sconosciuto.

«Damon?» sussurro con un filo di voce.

Ciondolando, si allontana dalla porta e prova a restare in piedi tenendosi con un braccio sulla parete vicina.

Il suo viso è pallido, gli occhi faticano a restare aperti, e sembra sul punto di svenire da un momento all'altro. Apro di colpo la porta e resto senza fiato.

No, non è un sogno. Non lo sto immaginando. Non sto ancora dormendo sul divano in salotto.

Davanti a me ho veramente lui.

«Damon?» pronuncio ancora una volta il suo nome con un filo di voce in più, ma lui non sembra sentirmi.

Ciondola leggermente, fatica a tenere la testa alta e cerca di guardarmi negli occhi senza riuscirci. Sembra ubriaco eppure non puzza di alcol.

«Damon» lo richiamo.

Alza il viso madido di sudore e con un'espressione sofferente; come quella notte. La nostra notte.

Come se stessimo vivendo un momento differente, mi sorride.

«Ti ho svegliata, vero?»

«Stai... stai bene?» chiedo preoccupata.

Non ho tempo per pensare al modo in cui ci siamo lasciati, al fatto che continui a comparirmi davanti in queste condizioni. Non riesco a pensare se lo odio o mi manca, ma allungo una mano sul suo viso; avvolgo con il palmo la sua guancia e la sento bollente.

Lui socchiude appena gli occhi sotto al mio tocco; sembra così fragile da sentire una fitta al cuore.

Scuoto leggermente la testa confusa. Lo osservo con attenzione. Il volto non sembra essere ferito, abbasso lo sguardo lungo le spalle e noto uno strappo sulla sua giacca all'altezza della spalla destra. Mi avvicino tanto da intravedere la felpa sporca di sangue.

La mia mano si muove da sola. Afferra il bordo della giacca e gli abbassa la manica ritrovandomi di fronte una macchia rossa che si allarga sulla felpa grigia strappata.

«Sei ferito» sussurro.

Lo guardo aspettando una spiegazione, una risata che mi dicesse che non è nulla, qualsiasi cosa che potesse mettere a tacere i battiti soffocanti del mio cuore risalito in gola. Ma lui non dice nulla, non fa nulla.

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