15. Stella

1.1K 37 1
                                    

Sorrido allo specchio.

Tiro le guance fino a sentirle tremare per lo sforzo, poi le rilasso. Lo rifaccio.

Nel salottino di casa, faccio le prove per la giornata.

Forzo un altro sorriso, questa volta mostro anche un po' i denti. Resto in posa per qualche secondo; mi guardo, studio nei dettagli quest'espressione, rendendola il più convincibile possibile. Non per gli altri. Per me.

Rilasso le guance, mi do dei colpetti al viso con entrambe le mani, poi le gonfio, sgonfio e le massaggio.

Sembro pronta per affrontare un palco musicale.

Un ultimo sguardo al calendario appeso sulla parete vicina, per ricordarmi il perché lo sto facendo.

25 Ottobre.

Nove anni senza la nonna.

Nove anni da quando sono entrata in quella casa buia, con le scarpe bagnate di pioggia che lasciavano impronte fangose ovunque mettessi piede. Nove anni da quando sono entrata in camera sua e...

Scrollo con forza la testa e allargo un sorriso. Lo forzo fino a sentire le guance bruciare, mettendo così a tacere il pizzicore agli occhi.

«Andiamo» sospiro.

Sciolgo i muscoli delle spalle ed esco di casa, assicurandomi di lasciarci all'interno la piccola Stella di quella notte, e portarmi dietro solo quella adulta che ha iniziato la sua vita cinque anni prima a Crimson Hollow.

Nel tragitto in autobus mi perdo a osservare il paesaggio baciato dal sole, giocando con le chiavi del bar che tengo strette tra le mani e che mi sono fatta lasciare la sera prima da Timothy.

Non sa i dettagli, ma ogni anno, in questa giornata, mi lascia fare un turno completo di lavoro: dall'apertura fino alla chiusura. Ha capito che ho bisogno di lavorare, di distrarmi, di tenermi occupata, seppur non mi abbia mai fatto domande. Si limita a controllarmi con la coda dell'occhio, come immagino farebbe un buon amico.

Faccio saltare rumorosamente le chiavi sul palmo della mano mentre mi incammino nella via dei negozi.

Mi guardo attorno e mi stupisco di vedere così tanta quiete. Non c'è il fuggi fuggi generale, i sussurri e le occhiatacce da parte degli altri commercianti come ogni volta che passo.

Rallento di fronte alla fioraia e provo a controllare attraverso la vetrina, ma non vedo nessuno.

Corruccio la fronte e proseguo il tragitto. Percorro appena cento metri prima di notare una folla di curiosi ammassata di fronte al Ti bar.

Allungo il passo e, più mi avvicino, più mi rendo conto dov'erano finiti tutti i commercianti: sono lì. Le persone che guardano la nostra entrata, sono loro.

Mi faccio strada a fatica, e quando finalmente riesco a sbucare oltre alla folla, sul piccolo piazzale di fronte alla porta del bar, mi ritrovo davanti a una scena agghiacciante.

Il signor Lambert, il macellaio della strada accanto, è in piedi di fronte alla nostra vetrina con un secchio di plastica in mano. Affonda un enorme pennello, e lo tira fuori sporco di un liquido vischioso e rosso con cui sporca tutta la nostra vetrata.

«Cosa...?» sussurro.

L'odore ferroso del sangue mi colpisce con forza le narici e devo coprirmi il naso con una mano.

Gli occhi mi tremano e resto inerme per qualche secondo, incredula e offesa per il gesto.

Quando Donte Lambert affonda ancora una volta il pennello, lo affianco con uno scatto.

Save meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora