Flashback - 2008

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«Abbiamo sbagliato. Dovevamo pensarci meglio.»

Lea camminava ormai da minuti avanti e indietro sul salotto di casa; una piccola villetta a schiera ai confini di Oakdale, dove si trasferì subito dopo il matrimonio con Gareth e l'imminente nascita del piccolo Damon.

Era notte fonda, dove lampi, tuoni e la pioggia violenta ricreavano un'atmosfera fredda e soffocante.

«Basta allarmarti» la ammonì Gareth.

Lea scosse il suo piccolo ed elegante viso dai lineamenti delicati e dolci, che in poche settimane era invecchiato ricoprendosi di rughe di preoccupazione e paura. Anche i suoi grandi occhi chiari avevano ormai preso una forma allarmata che sembrava non volerla lasciare neanche mentre risposava.

Raggiunse rapidamente la finestra del salotto e spostò la tenda per guardare fuori. Il marito le andò incontro con passi rapidi, e con una mano le afferrò il fianco mentre con l'altra il suo polso, allontanandolo dalla tenda che ricadde morbida sul vetro.

«Andrà tutto bene, rondine. Vedrai» sussurrò ancora, chiamandola con il soprannome che era solo suo. Solo loro.

No. Non sarà così. Lea lo sapeva, ed era certa che anche suo marito ne fosse a conoscenza.

Riusciva a sentire la morte che stava attraversando il loro giardino di casa; l'odore di sangue che riempiva il salotto come una nuvola densa e invadente. Ma le parole di Gareth le scaldarono il cuore per un piccolo istante, infondendole il coraggio necessario per affrontare la situazione.

Un'ombra suonò con violenza il campanello di casa.

Lea e Gareth si voltarono di scatto vero Damon, seduto sul divano del salotto che li guardava senza emettere alcun suono.

Un piccolo bambino di otto anni, vestito con colori accesi e luminosi che andavano in contrasto con quello che stava per succedere.

Gareth afferrò la moglie per le spalle e la voltò perché lo guardasse dritto negli occhi.

«Prendi Damon e andate di sopra» ordinò con voce ferma e gli occhi neri che puntavano dritti sui suoi.

«Non ti lascio da solo.» Lea era irremovibile. «Lo abbiamo deciso insieme.»

«Damon, vai di sopra con tua madre.»

Con il braccio teso, indicò alla moglie e al figlio le scale che portavano al primo piano, mentre con piccoli passi arretrava verso la porta d'entrata, in un vano tentativo di fermare chiunque si trovasse dall'altra parte.

Lea raggiunse Damon velocemente, lo afferrò per un braccio e lo portò a metà delle scale. Inginocchiatasi di fronte a lui, lo afferrò per le piccole spalle, proprio come Gareth aveva fatto poco prima con lei.

Si asciugò in fretta gli occhi chiari colmi di lacrime, e il sorriso più bello e rassicurante che Damon le vide fare, comparve nel suo piccolo viso sciupato.

«Damon. Devi essere bravo e coraggioso ora. Va bene?» annuì aspettando che il figlio le facesse capire che la stava ascoltando. Damon copiò il suo gesto e le accarezzò un braccio con le sue piccole mani fredde. «Ora vai in camera tua e nasconditi; qualsiasi cosa tu senta, non scendere e non uscire dal tuo nascondiglio. Va bene? Hai capito?»

«E tu?» chiese con un filo di voce il piccolo.

«La mamma arriverà subito. Devo prima aiutare papà a fare una cosa. Va bene?»

Un'altra lacrima le rigò il viso, questa volta però non si preoccupò di asciugarla. Sarebbe stato inutile, perché guardare gli occhi di Damon era come guardare quelli del marito mentre le sussurrava che l'amava, quando le chiese di sposarla, quando la sollevò da terra sapendo che era incinta. Damon custodiva il ricordo del loro amore, e l'avrebbe protetto con la sua vita, così come avrebbe affrontato la fine al fianco del suo primo e unico amore.

Un colpo violento fece tremare la porta.

«Vai, vai!» Lea colpì le braccia di Damon che salì rapidamente gli scalini.

Non lo osservò raggiungere il piano di sopra, perché la porta d'entrata si aprì di colpo e lei fu costretta a scendere rapidamente per raggiungere il fianco di Gareth.

«Tu...?!» esclamò sconvolto il marito guardando di fronte a lui, dove c'era un uomo divorato dal buio della notte e con occhi tremanti.

«Non farci del male!» aggiunse Lea afferrando il braccio di Gareth che, con uno scatto, se la portò alle spalle, dove l'intruso non avrebbe potuto farle del male.

«Non farlo» scosse la testa Gareth. «Risparmia almeno mia moglie.»

Voleva stare con loro. Voleva corrergli incontro e abbracciare la sua mamma, coccolato dalle sue mani calde e dalla sua voce gentile.

Si voltò verso il salotto e scese di qualche gradino, poi ancora un paio e altri ancora. Quando arrivò alla fine delle scale, si ritrovò di fronte all'incubo.

«Non sono io a decidere» prese parola l'ombra. Le uniche e poche parole che pronunciò in quella notte macchiata di sangue e di addii.

Gareth, il padre così grande e agli occhi di Damon indistruttibile come un super eroe, indietreggiò difendendo sua moglie con le braccia aperte a scudo.

Un lampo illuminò il salotto, mostrando a Damon il volto bagnato di pioggia dell'ombra. Sembrava un uomo normale, con corti capelli scuri e un fisico nella media. Un volto dimenticabile e che anzi, avrebbe di sicuro scordato. Ma quell'uomo come tanti, con l'espressione terrorizzata e persa, alzò il braccio sinistro in cui stringeva una lama che brillò sotto i lampi del temporale. Non aspettò un solo secondo, prese la rincorsa e affondò il coltello sul petto di Gareth. Lo colpì mentre suo padre lo implorava di avere salva la vita.

Alzò di nuovo lo mano e lo colpì ancora, ancora e ancora.

Lo fece con violenza e disperazione. Lo fece sotto agli occhi disperati della moglie e del figlio.

Gareth respirava a fatica, le mani strette sull'addome, dove una chiazza rossa si allargava e sporcava il pavimento sotto di lui. Dopo essersi assicurato che il padre di Damon non avesse la forza di rialzarsi, l'ombra di voltò verso Lea distesa ai piedi del divano.

«No... No...» con le poche forze rimaste, Gareth afferrò la scarpa bagnata di pioggia e sangue dell'assassino. Ci provò fino all'ultimo respiro. Provò a fermarlo nell'uccidere la sua rondine ormai ferita.

Ma era tutto inutile.

L'ombra si avventò contro Lea. Con la stessa lama tinta del sangue di Gareth, affondò sull'addome della donna che in lacrime, portò lo sguardo su suo marito.

La sua roccia. Il suo principe che l'aveva salvata dalla prigione là, in alto nella torre dov'era rinchiusa.

Il suo Gareth. Il suo nido.

Alla quinta pugnalata, il viso di Lea era già privo di vita.

Un urlo squarciò la notte, più forte di un tuono e della grandine che colpiva la ringhiera in metallo fuori di casa. Era l'urlo di Gareth di fronte alla morte del suo lieto fine.

Afferrò il pezzo di vetro di un vaso andato in frantumi durante la sua caduta e, non appena l'uomo si avventò di nuovo su di lui per metterlo a tacere, lo colpì al braccio destro.

Per sempre.

Il salotto calò improvvisamente in un silenzio surreale. C'era solo il fiato corto dell'uomo che, con estrema fatica aveva messo a tacere due vite, e il rumore della pioggia che si era leggermente calmata.

L'assassino strinse la lama con forza, e portò il braccio sulla spalla opposta, dove il bruciore della ferita si faceva sempre più intenso. Fermo in mezzo al salotto di casa, alzò lo sguardo verso le scale.

Lì, ancora in piedi e scalzo, c'era Damon che lo osservava tremando e con gli occhi gonfi di lacrime.

Due vite in mezzo a un cumulo di morte che si guardavano ignari del loro destino.

L'uomo indugiò su di lui, abbassò la mano lungo il fianco ma non fece un solo passo verso la sua direzione, così come Damon non ne fece uno su per le scale.

Indietreggiò lontano dal bambino, gli voltò le spalle e uscì di corsa di casa, lasciando Damon in mezzo al sangue, ai corpi esanimi dei suoi genitori. In mezzo alla solitudine, alla tristezza, ai cocci di vetro, alla promessa di correre in camera e nascondersi.

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