11. Damon

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Disteso sul divano dell'ufficio, guardo il soffitto immerso nell'oscurità della notte.

Non ho acceso neanche la piccola luce della scrivania. L'unico chiarore a illuminare la stanza, proviene dai lampioni di centro città, dalle insegne dei palazzi che circondando il Genie e dalle auto che sfrecciano nella strada principale. Fasci di luce che attraversano l'ufficio e bagliori improvvisi che mi ricordano che la serata è ancora lunga.

Tiro fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare e sblocco lo schermo.

«Nove e mezza» sbuffo.

Appoggio un braccio a coprirmi gli occhi. Continuo a rivivere le parole di Yonas del giorno prima, e la scelta di non pensare più a lei mi porta ad andare sempre e solo lì con la mente. E ogni volta che ricordo il tocco sulla sua pelle, qualcosa mi si contorce nello stomaco, mentre il sudore che le ricade dalla fronte, lo sguardo spaventato e la sua stretta sulla mia mano, mi fa tremare ogni muscolo del corpo. Tutto di me vuole correre da lei ancora una volta, vederla ancora una volta, parlarle ancora una volta. Tutto.

Controllo di nuovo l'ora.

«Ancora le nove e mezza.»

Vederla sorridere, ancora una volta.

Mi alzo di scatto dal divano. «Devo fare qualcosa.»

Sta diventando la mia tortura personale.

Cammino verso la scrivania, ma tutti i documenti che dovevo controllare e sistemare, sono stati il mio passa tempo del giorno prima. Di tutta la notte, a dire il vero. Il piano è in ordine come non lo è mai stato neanche all'apertura del Genie.

Torno al centro della stanza, afferro il cellulare e chiamo Ivan.

«Capo?» risponde al secondo squillo.

«Tutto bene lì?»

«Sì-signore. Tutto bene.»

«I ragazzi sono tutti presenti?»

«Sì-signore. Da ieri, sono tutti ritornati ai propri compiti.»

«Bene.»

Faccio un respiro profondo e la chiamata si fa silenziosa e anche strana.

Mi schiarisco la voce e riprendo parola.

«Nella sala vip?» chiedo per sicurezza. «Sicuro che vada tutto bene?»

Qualche secondo di silenzio.

«Sì-signo-»

«Sai che ti dico? Scendo a controllare.»

«Non ser-»

Spengo la chiamata prima che possa darmi un motivazione valida per non uscire da lì. Devo fare qualcosa o impazzisco. O peggio ancora... vado da lei.

Esco rapidamente dall'ufficio, prendo l'ascensore e in meno di due minuti mi ritrovo di fronte alla porta vip; davanti a Ivan che mi guarda con occhi spalancati e preoccupati.

«Capo.»

Mi saluta abbassando il capo, poi posa nuovamente lo sguardo sul mio e cerca di capire che cosa succede.

Metto le mani in tasca e mi vesto della mia calma glaciale.

«Va tutto bene, quindi?»

«Tutto bene, signore.»

Annuisco.

Nella sala vip regna sempre il caos, e l'unica volta di cui ne ho bisogno, quei dannatissimi politici se la ridono senza creare drammi!

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