20. Damon

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Ho dovuto afferrarla per le spalle e aiutarla a sedersi sul divano per non farle lavare i piatti. Ma finalmente, la cucina è pulita, Stella non si è affaticata e siamo entrambi seduti sul divano, l'uno accanto all'altro di fronte alla televisione.

Stella, con il telecomando tra le mani, continua a cambiare canale senza trovare nulla di interessante da guardare. Sbuffa e scuote la testa ogni volta che prova a fermare su una trasmissione e vede scattare la pubblicità. Vorrei girarmi e osservarla con l'attenzione che merita invece di limitarmi a farlo con la coda dell'occhio.

Sono qui per dirle addio.

Il pensiero mi colpisce come una lama in pieno petto.

Mi volto verso di lei senza più alcun timore. Con il cuore che palpita, il tremore alle gambe e la consapevolezza che dopo stasera non la rivedrò più, e io voglio sapere tutto di lei. Tutto dalle sue labbra.

«Prima hai parlato di tua nonna» prendo parola senza troppi giri inutili.

Stella annuisce e cambia canale ancora due volte.

«Com'era? Intendo... tua nonna. Vivere con lei, com'era?»

Un sorriso le colora il viso. Lascia andare il telecomando, si morde il labbro alla ricerca delle parole giuste. Poi si afferra l'unico ginocchio che riesce a piegare portandoselo vicino al petto, e si volta anche lei a guardarmi.

«Magico?» chiede dubbiosa. «No, no... direi... familiare? Sì. Familiare» sorride.

Scuoto la testa senza capire. Voglio sapere di più.

«Lei era una di quelle persone che ti fanno sentire a casa anche se sei in un posto sperduto e non conosci neanche la lingua. Hai presente?»

Guardo i suoi occhi illuminarsi e capisco perfettamente il significato di ogni sua parola.

«Una di quelle persone che, quando ti abbracciano, ti aggiustano ogni ossa rotta, ogni problema e preoccupazione. Anche quelli che non ti eri ancora reso conto di avere. Come quando non sai di essere triste, ma poi ti chiedono come stai, e senti un'enorme esigenza di piangere.»

«Una persona speciale» commento.

Appoggio il braccio sullo schienale del divano, lo allungo tanto da raggiungerla con la mano.

Stella annuisce e giuro di vedere anche i suoi occhi sorridere.

«A dire il vero, oggi... anzi ieri» guarda l'orologio appeso alla parete. «Sì, ieri... era l'anniversario della sua morte.»

Lo so.

Su quel fascicolo fatto da Xander, c'è scritto tutto di lei, ma sentirlo adesso, ha un altro peso.

«Mi dispiace.»

«Anche se sono passati nove anni, è sempre così doloroso che-»

«Sembra che il tempo non sia mai passato» concludo.

«Già.»

Ci guardiamo come due anime perse che si sono finalmente trovate dopo troppo tempo che vagavano solitarie.

«Eri molto legata a lei?»

«Lei è l'unica mamma che ricordo di avere mai avuto.»

Appoggia la nuca sullo schienale del divano, vicino alla mia mano. Non si preoccupa della mia presenza, il suo sembra essere un movimento normale, come se ci conoscessimo da una vita.

«Mi ha cresciuta, mi abbracciava quando le cose si facevano difficili, mi consolava e mi spronava. Dovrebbero essere cose che fa una madre, no?»

Ricordo quei pochi anni vissuti con la mia di mamma; ricordo il suo viso, le sue carezze, i suoi sorrisi che fino a quel momento ero certo di aver dimenticato. Il suo volto si fa talmente chiaro nei miei ricordi, che mi sembra di fare un tuffo nel passato. Mi sembra di averla al mio fianco e che non l'abbia lasciata andare mai.

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