𝟮𝟰 〣 𝗦𝗘𝗜 𝗖𝗜𝗢' 𝗗𝗜 𝗖𝗨𝗜 𝗛𝗢 𝗕𝗜𝗦𝗢𝗚𝗡𝗢

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| tre settimane dopo |

Nella mente di Taehyung era tutto così confuso e ordinato allo stesso tempo.

C'era una parte di sé che giorno dopo giorno si stava sgretolando sempre più e un'altra che invece si aggrappava alla vendetta, al desiderio di rivalsa e allo stupido sogno di raggiungere la felicità. C'erano queste sue parti dentro di sé che si alternavano in maniera sempre più sfiancante e sempre più imprevista.

Un secondo era seduto con il pc sulle gambe intento a gestire i vari compiti da assegnare agli uomini di Dohyun e il secondo dopo si ritrovava a terra, intento a battere i pugni contro il pavimento, in lacrime e con costanti urla a grattargli la gola.

Sua madre continuava a contattarlo ogni singolo giorno ─ così come mai avevano smesso di fare i suoi due amici ─ eppure nonostante si rifiutasse categoricamente di rispondere, ancora non se l'era sentita di bloccargli completamente il numero; aveva bisogno di ognuno di loro, della loro vicinanza, della loro apprensione e del loro non arrendersi. Per una volta aveva bisogno di qualcuno che non si arrendesse al primo ostacolo bensì fosse pienamente cosciente di come non avesse obbligato loro a salire un singolo gradino, quanto più la scala intera. Li aveva messi di fronte una grande sfida che personalmente non sapeva se sarebbe stato in grado di portare avanti tanto quanto loro, ma gli fece piacere, fu quello che lo spinse a non arrendersi, a diventare una persona migliore in grado di accettare il loro amore per poi replicarlo e donarglielo.

Ci teneva davvero, voleva imparare ad essere una persona migliore e lo voleva fare per i suoi genitori, per quelli che ormai poteva ritenere amici, per Jun che gli era parso sempre più come un fratello maggiore e per Jeongguk che sognava di poter amare senza alcuna paura.

C'era tanto su cui aveva rimuginato in queste tre settimane di completa solitudine e in un certo senso era stato quasi sollevato da averle ottenute completamente, visto come per gli scorsi otto anni Einar non aveva praticamente lasciato il suo fianco; magari spariva per una manciata di giorni ma poi si assicurava sempre di tornare e di reclamarlo come suo così che nessuno potesse mai dubitare del contrario. Anzi, più erano i giorni di distanza e più il suo corpo rispecchiava l'intensità del suo amore.

Con un giorno d'assenza poteva godersi del veloce sesso, con due l'atto sarebbe durato più di un'ora, con tre arrivavano i primi lividi, i primi polsi legati, i primi orgasmi multipli e dal quarto in poi diventava semplicemente un cumulo di carne, lacrime, sperma, segni violacei e cinghie. Niente di più. La cosa che più lo faceva piangere disperato però era la stupida speranza che quei giorni di lontananza un giorno potessero tramutarsi in carezze, in coccole, in abbracci, in baci e non per forza di cose in qualcosa che riguardasse i loro corpi nudi e le loro intimità.

Perché Einar non era in grado di amare la sua persona? Perché non amava i suoi dipinti? Perché non amava la sua risata? Perché non amava stare al suo fianco? Perché trovava più appagante farlo piangere, ferirlo, umiliarlo e sottometterlo? Cosa c'era di bello nel vedere il proprio fidanzato trasalire ad un semplice braccio alzato? Cosa c'era di quei comportamenti che lo faceva sentire uomo?

Taehyung non aveva mai compreso realmente che tipo di persona fosse Einar ma ─ per sua tremenda sfortuna ─ il loro periodo di conoscenza si era trasformato immediatamente in una trappola dalla quale anche ora, otto anni dopo, non era ancora riuscito a fuggire. Einar lo teneva in pugno, lui stesso si lasciava tenere prigioniero di quella loro relazione e non c'era cosa che lo facesse soffrire più di ciò.

Ed era proprio per quello che le tre settimane trascorse in piena solitudine non gli fecero altro che bene, ancor più per il fatto che lentamente ─ e dolorosamente ─ stava riuscendo a disintossicarsi dalla sua abituale assunzione di psicofarmaci o di qualunque cosa potesse mandarlo ko all'istante. L'amicizia con lo Xanax pareva ormai agli sgoccioli.

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