𝟰𝟭 〣 𝗟𝗔 𝗥𝗘𝗦𝗔 𝗗𝗘𝗜 𝗖𝗢𝗡𝗧𝗜

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Taehyung fu rapido ad agire dopo aver mormorato quelle due parole.

Aveva stretto con forza e coraggio il manico di quel coltellino che Einar ─ così come Zakhar e Ariy ─ erano soliti tenere legato alla coscia in una fodera e si era concesso giusto il tempo di caricare appena la mano all'indietro per poi farla scattare avanti in un gesto che mai si era sognato di poter realmente compiere. Aveva percepito la lama farsi spazio tra la carne e i muscoli di Einar, in quel basso ventre tanto rigido, facendolo ritrovare immediatamente con una mano tra i capelli e con il corpo intero spinto lateralmente con forza.

Lo svedese si era portato rapido entrambe le mani attorno al coltellino infilzato nelle sue carni e ─ accompagnato da un ringhio animalesco ─ si liberò da quell'arma bianca per poi tamponare furioso l'area danneggiata.

Poi, i loro occhi erano andati ad incrociarsi e lì entrambi avevano capito quanto differenti fossero attualmente divenute tutte quelle dinamiche che per anni avevano governato il loro rapporto: ora era Einar quello scioccato dal comportamento di Taehyung e ─ sempre allo stesso modo ─ ora era Taehyung a ferire senza mostrare alcun briciolo di sanità né di stupore.

Era solito odiare il sangue, la violenza e qualunque cosa che in qualche modo potesse ricordargli le terribili esperienze passate, quindi perché ora non faceva a meno di sorridere nel vedere quelle gocce cremisi sfuggire dai palmi di Einar e finirgli sul pavimento? Perché non sentiva i conati di vomito grattargli l'esofago? Perché non correva disperato in cerca di garze con le quali fermare il sanguinamento? Perché sentiva di potersi scatenare con altri fendenti?

«Taehyung!» il ringhio da parte del biondo non lo fece trasalire nemmeno un po', anzi, aumentò solamente quel suo sorriso ormai irriconoscibile. Dentro di lui qualcosa era realmente scattato. «Questa volta hai decisamente oltrepassato il limite─»

La rapidità nei movimenti di Taehyung però fu decisamente superiore rispetto quella dell'ex fidanzato e fu per questo che ─ dopo aver agilmente slittato sul pavimento ─ era riuscito a piazzarsi dietro l'enorme uomo e a colpirgli il retro del ginocchio con abbastanza forza da fargli cedere la gamba in questione. Lo svedese aveva quindi perso l'equilibrio senza però impedire a se stesso di reagire di fronte quell'attacco; Einar infatti aveva sporto il braccio all'indietro riuscendo a scalfirgli ─ con quel coltellino ormai insanguinato ─ una grande porzione di zigomo e guancia.

Fece male, diamine se fece male, ma dopo aver fatto scattare il capo lateralmente al minimo contatto con la lama ─ così da evitare che il taglio andasse ad espandersi fin la mandibola ─ aveva deciso di limitarsi a fuggire da quella stanza, da quel luogo tanto strano in cui Einar l'aveva rinchiuso.

D'altronde, in cuor suo, sapeva che se solo fosse restato lì un minuto di più, avrebbe provato su pelle cosa sarebbe significato uccidere o morire. E lui, ironicamente, non era ancora pronto a sperimentare la prima delle opzioni, nemmeno se la vittima sarebbe stata il suo incubo più grande.

C'era tutta una confusione nella sua mente, da una parte credeva di poterlo ferire mortalmente senza incorrere in alcun senso di colpa, dall'altra invece era cosciente di come tutti quei pensieri fossero frutto dell'ennesimo stato di disperazione. Gli mancava suo padre, temeva per le condizioni di Jeongguk e dei suoi amici e il solo pensiero che le condizioni di Ego fossero tanto gravi da avvicinarsi alle parole pronunciate da Einar ─ a quel suo "Ego è morto" ─ lo avevano trascinato nell'ennesimo conflitto interiore in grado di farlo sentire tanto egoista da accettare il malessere di tutte quelle persone pur di sfuggire al proprio.

Bastava che si sottomettesse di nuovo ad Einar, bastava che si dimenticasse di Jeongguk, che tornasse a fare l'unica cosa per la quale l'ex fidanzato lo aveva sempre lodato, che si rendesse conto di non potersi permettere di sognare e forse, forse, in quel momento le persone attorno a lui avrebbero smesso di soffrire.

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