Capitolo Cinque

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L'odore di cloro mi colpì le narici e pervase i miei polmoni. Ed ero estremamente convinta che potessi vivere solo di quel profumo.

Neanche il fresco della sera sembrava scalfirmi, anche se la mia pelle era cosparsa da brividi.

Quella era l'unica pecca di entrare in piscina in tarda serata, dopo la chiusura: non potevo andare nella vasca al chiuso, ma dovevo per forza di cose accontentarmi di quella all'aperto.

Le prime volte che avevo fatto quella bravata ero rimasta in allerta del custode, perché se mi avesse trovata lì, probabilmente mi avrebbero buttata fuori dalla squadra. Ma ormai non mi preoccupavo più, ci ero andata tante di quelle volte che ormai conoscevo a memoria i giri del vecchio custode. Non veniva mai a controllare prima di mezzanotte quella parte dell'edificio. Ed erano solamente le ventidue e quaranta. Potevo prendermela comoda.

Così, sotto le stelle della capitale, presi cuffia e occhialini dal borsone dove tenevo anche il cambio e lo lasciai in uno dei sedili più bassi degli spalti, legai i capelli in uno chignon stretto e indossai la cuffia. Lasciai le ciabatte sotto uno dei trampolini e mi godetti la sensazione del pavimento freddo e umido sotto i miei piedi nudi.

Potevo sentire mia madre rimproverarmi perché mi sarei presa un brutto raffreddore.

Ma non mi era mai successo, neanche quando facevo la stessa cosa a Palermo. Io e Laura, la mia migliore amica, andavamo di notte in piscina tutti i giovedì. Era per noi una tradizione.

Pensare a Laura mi provocò un dolore acuto al centro del petto. Non la sentivo da qualche giorno, e contemporaneamente mi mancava e mi sentivo sollevata.

All'inizio non ero sicura che la soluzione della psicologia e dei nostri genitori fosse quella giusta. La lontananza rischiava di distruggere il nostro rapporto particolare, e il pensiero di averla lasciata sola, dopo quello che era successo un anno prima...

Scossi la testa con forza, come se quel movimento potesse scacciare via le immagini che stavano prendendo possesso della mia mente.

Ma loro rimasero lì, a ricordarmi quella maledetta notte.

Solo una cosa poteva tenere i pensieri a bada, almeno per un po': la massa d'acqua azzurra davanti a me, illuminata dalla luna piena.

Sollevai prima una gamba e poi un'altra e salii sul trampolino. Guardai l'acqua come per chiederle aiuto.

Indossai gli occhialini, la vista si deformò appena, ma sapevo che sottacqua avrei visto benissimo, che quell'azzurro limpido mi avrebbe circondata e schiarito le idee.

Sollevai le braccia sopra la testa piegai le ginocchia e mi spinsi in avanti in un perfetto tuffo. L'impatto fu freddo e rigenerante, come sempre.

Era come tornare a vivere, era come tornare a respirare.

La gente viveva per uscire fuori dall'acqua, per tornare a galla in un porto sicuro, io vivevo per i momenti in cui mi immergevo in quell'acqua.

Mossi i piedi, rapida, le braccia si alternavano, e così mi spinsi fino all'altro capo della vasca. Arrivai in poco tempo, mi muovevo come una furia.

Toccai il muro, feci una capriola sott'acqua e partii di nuovo per tornare indietro. E poi ancora e ancora.

Una bracciata per Laura che avevo lasciato sola.

Una bracciata per la parte egoista di me che si sentiva sollevata ad essere andata via, lontana da lei.

Una bracciata per quella maledetta notte che aveva rovinato tutta la mia vita.

Una bracciata per il trasferimento.

Una bracciata per i miei genitori che non meritavano una figlia come me.

Coraline Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora