Capitolo Ventisette

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Avete presente quando aprite gli occhi al mattino e vi colpisce la sensazione che la giornata sarà una merda?

Ecco, era proprio così che mi sentivo quel giorno.

La prima cosa che sentii quando la mia mente si svegliò fu il profumo penetrante di Laura, di quelli forti e sdegnosi che lasciano la scia e che sembrano non abbandonarti mai.

E già quello non fu un bel buongiorno.

Nella testa continuavano a frullarmi le immagini della sera prima, di come aveva tentato di sminuirmi di fronte ai miei nuovi amici, di come ci aveva provato spudoratamente e senza ritegno con Damiano.

Un sorriso mi affiorò sulle labbra al pensiero di come lui l'aveva snobbata, portando tutta la sua attenzione su di me. Nulla era valso l'esibizionismo di Laura, lui non 'l'aveva guardata.

Ma non era solo quello il punto. Lui aveva capito che non volevo più stare lì, mi aveva portata via e mi aveva calmato l'attacco di panico con un bacio.

Con un bacio.

Le farfalle nel mio stomaco svolazzarono e continuai a sorridere come un ebete.

Quel ragazzo mi stava fottendo il cervello e non sapevo fino a che punto fosse un bene.

«Cos'è quel sorrisetto?» chiese Laura ricordandomi della sua invadente presenza.

Mi voltai a guardarla, era già in piedi e stava sistemando le ultime cose in valigia. Aveva anticipato la partenza e suo padre, che ra a Roma per lavoro, sarebbe venuto a prenderla di lì a poco. Per fortuna i suoi l'avevano reclamata alcuni giorni prima per un evento a cui lei non poteva mancare. Avere due imprenditori per genitori comportava a quanto pare delle responsabilità. Parole sue. Io ero solo contenta che andasse via.

«Niente» risposi evasiva. «Hai preso tutto?»

Lei ignorò la mia domanda. «Il biondino ti ha sistemata per bene ieri sera?» chiese provocandomi.

E non ci sarebbe stato niente di male in un'amica che fa una domanda simile. Se me l'avesse chiesto Arianna non mi avrebbe dato fastidio, le avrei raccontato tutti i dettagli. Anche se con Damiano ci eravamo solo baciati e baciati e baciati ancora la sera prima.

Ma con Laura non era lo stesso, perché sapevo che non chiedeva per il semplice fatto che voleva sapere qualcosa di me, ma perché voleva il controllo.

Preferii non rispondere, ma lei continuò: «Sembra uno di quei coglioni che ti portavi a letto quando andavi a nuotare in quel centro per tossici.»

Sentii il calore salire su tutta la faccia. «Non era un centro per tossici.» Il mio tono duro esprimeva esattamente quanto quelle parole mi avessero fatta incazzare.

«Si che lo era...» insistette lei. «Tossici, scarti della società, malesseri alpha che credono che le ragazze siano di loro proprietà. E quel Damiano sembra Vittorio.» Scosse la testa. «Non impari mai.»

Mi alzai dal letto con uno scatto talmente veloce da farmi girare la testa. Ero sul lato opposto al suo, il letto ci divideva.

La guardai con il fuoco negli occhi. «Sai cosa, Laura?» sibilai. «Mi hai rotto le palle!»

Lei portò subito l'attenzione dai suoi vestiti a me, gli occhi sgranati dalla sorpresa anche se non era la prima volta che litigavamo.

No, le nostre liti le conoscevano tutti a Palermo. Era state plateali, come delle scenate napoletane che tutti sentivano e di cui si cibava la gente che non aveva nient'altro da fare.

Solo che negli ultimi due anni io non avevo più avuto voglia di litigare con lei. Avevo iniziato a farle capire le cose in altri modi, meno bruschi. Ma Laura non sentiva, perché per Laura esisteva solo Laura. Tutto il resto del mondo era insignificante, compresa io, colei che riteneva la sua migliore amica.

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