Capitolo Trentacinque

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I capelli erano rasati solo ai lati, a differenza di quando uscivamo insieme che li teneva spesso totalmente rasati. Il ciuffo folto e nero ricadeva sulla fronte. Gli occhi erano così scuri da sembrare quasi neri, i tatuaggi uscivano dalla maglietta, coperta da un cappotto che sfiorava il pavimento, e coprivano l'intero collo, notai subito che ne aveva aggiunti di nuovi dall'ultima volta che lo avevo visto un anno e mezzo prima. Le sue labbra carnose stringevano una sigaretta e indossava il suo solito sguardo arrogante da "ho l'intero mondo ai miei piedi". Le sue pupille non erano dilatate, segno che almeno non era strafatto di chissà cosa.

«Piaciuta la sorpresa, tesoro?» sussurrò avvicinandosi ancora di più, le sue mani, anch'esse totalmente tatuate, non davano segni di voler lasciare i miei fianchi. «Ti ho lasciata senza parole?»

Si stava sforzando, come ogni volta che si rapportava con me, di parlare italiano, anche se l'accento palermitano era inconfondibile. In passato quell'accento così marcato mi faceva andare fuori di testa, e dovevo ammettere che faceva ancora un certo effetto.

Quel ragazzo era l'incarnazione del malessere. E io avevo lottato per lui, per noi, per troppo tempo. Ma quando una persona non vuole cambiare, non vuole prendersi cura di se stessa, quando rischia di trascinarti a fondo con lei, bisogna lasciarla andare, perché il nostro benessere deve venire prima di qualunque altra cosa, di qualsiasi sentimento, forte che sia.

Deglutii a vuoto e mi schiarii la gola, cercando di tornare in me. Sentivo la presenza di Damiano dietro, lo sguardo dei miei amici che passava da me a Vittorio.

«Cosa ci fai qui?» La mia voce era appena udibile alle mie stesse orecchie.

Lui alzò un sopracciglio, quello percorso da un taglio, nell'altro aveva un nuovo piercing che rendeva il suo sguardo ancora più intenso. «Credevo fossi più contenta di vedermi.» Per dare più enfasi alle sue parole strinse i miei fianchi ancora di più, con quella possessione che mi dava sui nervi.

«Sono solo molto sorpresa» ripresi a parlare, cercando di calmare il mio cuore impazzito per quella situazione che era una bomba pronta a esplodere.

Mi scansai un po' da lui che suo malgrado mi lasciò andare.

Alzò le spalle con noncuranza e prese la sigaretta con le dita. «Volevo vedere la capitale.» Si guardò intorno, poi tornò a guardare me. «E avevo bisogno di staccare...» il dolore era, per me che lo conoscevo bene, palese in ogni sillaba.

«È successo qualcosa?» Non potevo farci niente, nonostante mi fossi lasciata alle spalle la nostra storia, avevamo passato momenti che non avrei potuto dimenticare o rinnegare e l'affetto per lui non sarebbe mai del tutto sparito. L'antica preoccupazione tornò a serrarmi lo stomaco e mi ricordai perché ci eravamo lasciati.

Vittorio frequentava brutti giri, era stato per anni in uno dei clan che detenevano il potere a Palermo. E quando il loro boss, Adriano Mersiglia, aveva rinnegato quel mondo marcio e aveva denunciato tutti i suoi uomini, Vittorio era stato uno dei pochi a non essere arrestato. Quell'Adriano aveva fatto in modo di farlo entrare nel Centro nuoto antimafia, dove anche io mi allenavo, e io avevo sperato che come Mersiglia, anche Vittorio sarebbe cambiato e sarebbe uscito da quei giri. Ma gli scagnozzi più vicini ai fratelli Mersiglia erano usciti dal carcere prima del previsto, e Vittorio era tornato sotto la loro ala, aveva ripreso a spacciare e a farsi di roba sempre più pesante. Non era servito a niente il mio amore per lui o il suo amore per me, aveva preferito rinnegare noi, piuttosto che il mondo al quale apparteneva sin da bambino. E io avevo dovuto lasciarlo andare.

«Niente di cui tu debba preoccuparti.» Mi accarezzò la guancia con le nocche, ma non sentii quel brivido che un tempo mi avrebbe percorso la schiena al suo minimo tocco.

Coraline Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora