Capitolo Dieci

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Credevo fortemente che, nonostante tutto quello che mi fosse successo in diciotto anni di vita, fossi una persona fortunata.

Facevo uno sport che amavo, ed ero anche molto brava. I miei genitori mi avevano sempre appoggiata a realizzare i miei sogni, a patto che andassi decentemente a scuola e finissi gli studi per avere un'eventuale alternativa al nuoto, una cosa che avevo accettato senza problemi. Ricordavo perfettamente quando a soli sei anni, una piccola me con le ciocche rosse legate in una treccia e gli occhi verdi pieni di eccitazione aveva varcato l'ingresso della piscina comunale di Palermo con i miei che mi tenevano per mano. Avevo un buon rapporto con loro, nonostante dai quattordici ai diciassette anni li avessi fatti veramente uscire fuori di testa per le mie... Bravate.

Avevo buoni voti a scuola senza sforzarmi troppo, e anche con i ragazzi non dovevo impegnarmi, arrivavano e basta.

E in quel momento, guardando il mio riflesso allo specchio lungo della mia camera, mi sentivo estremamente fortunata perché quel riflesso mi piaceva. Ogni parte di me mi piaceva, anche se più spesso di quanto volessi ammettere, qualcuno mi aveva fatto dubitare dei miei capelli troppo rossi, delle mie lentiggini troppo accentuate, del mio seno troppo voluminoso per una nuotatrice. Per molti ero troppo.

Nonostante ciò stavo fuori dalle insicurezze tipiche degli adolescenti, dalle insicurezze che la società voleva che avessimo.

Per fortuna mi era resa conto di quanto la gente mi volesse solo buttare giù per nascondere la propria insicurezza. Tutti, soprattutto lei.

Scossi la testa con forza facendo muovere i miei capelli sciolti, costringendo quel pensiero spontaneo a uscire dalla mia testa.

«Cazzo, se siamo bone!» esclamò Arianna posizionandosi al mio fianco.

E lo eravamo davvero. Lei nella sua gonna di pelle bordeaux e il suo toppino nero, io nel mio vestitino nero striminzito che mi fasciava nei punti giusti e risaltava le mie forme.

Arianna era l'essenza della libertà, intesa nel senso più positivo del termine. Non mi aveva mai giudicata, mai derisa, mai fatta sentire sbagliata. Se facevo una cazzata me lo diceva, ma il suo mantra era "vivi e lascia vivere". Non ero abituata a quella tipologia di amicizia, e all'inizio era stato molto difficile venire a patti con il fatto che il mio pensiero sull'amicizia era tossico. Sì, non saprei definirlo in altro modo. D'altronde mi era sempre piaciuto dare il nome giusto alle cose.

Di nuovo scossi la testa, di nuovo provai a scacciare la presenza di lei dal mio cervello. Non la sentivo da settimane, ma, figuriamoci, se non mi fossi fatta sentire io, la prima donna avrebbe aspettato tutta l'eternità.

«Quel visino cruciato mi fa dedurre che non stai pensando a come scomparti Damiano dentro i bagni della Sapienza» esordì Arianna alzando un sopracciglio.

«Non la darò a Damiano...» ma tentennai. «Almeno, non stasera in un bagno sporco dell'università.»

Mi sistema i capelli che in realtà erano già perfetti, ma dovevo distogliere l'attenzione dal mio basso ventre in fuoco solo a sentire nominare Damiano Nardin.

«Non ti facevo così schizzinosa.» Arianna si allontanò da me e andò a prendere la sua borsa sopra il letto.

La imitai. «Non lo sono, ma per capire se accettare o meno la sua proposta voglio un letto comodo. Devo capire se ci sa fare veramente, in quel caso mi farò scopare ovunque io ne abbia voglia.» Alzai le spalle con noncuranza.

Arianna scoppio a ridere e io non potei fare a meno di seguirla a ruota.

«Tu, piuttosto, quando ti fai Lorenzo? Ti posso assicurare che ne vale la pena» la provocai.

Coraline Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora