Capitolo Trenta

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«Potevate fare meglio» esordì la professoressa di italiano con aria saccente, gli occhiali che le cadevano sul naso. «Sette e mezzo.»

Con un'espressione complice e compiaciuta guardai Arianna, lei ricambiò con lo stesso sguardo soddisfatto. Mentre tornavamo al nostro posto allungai la mano e lei mi diede il cinque e il pugno.

«Potevate fare meglio» Arianna a bassa voce imitò la professoressa mentre quella era intenta a interrogare altri due compagni.

Trattenni a stento una risata. «Considerando quanto ho studiato nel fine settimana, è un miracolo che io sia arriva al sette e mezzo.»

Arianna si voltò verso di me e mi osservò con malizia. «C'entra per caso un certo biondino?»

Mi morsi il labbro inferiore, colpevole. «Può darsi...»

Lei non smise di guardarmi. «Cosa hai?»

Ormai sapeva leggermi dentro, non c'era volta che non capisse quando c'era qualcosa che non andava.

Alzai le spalle. «Laura è andata via...» iniziai.

«Sia ringraziato il Calderone!» esclamò lei guadagnando un'occhiataccia da parte della professoressa.

«Sì, avevo giusto intuito che non ti piacesse» risposi ironica.

Le sollevò le sopracciglia chiare: «Io ti adoro, Cora, sei una di quelle migliori amiche che ho sempre sognato di avere ma che negli anni non ho mai trovato» disse puntando i suoi occhi azzurri nei miei, facendomi sciogliere il cuore. «Ma se parliamo di Laura non piacere è l'eufemismo del secolo» lo buttò fuori come se finalmente si liberasse di un peso. «Ho rischiato di picchiarla l'altra sera» mi confidò. «Il modo in cui cercava di primeggiare su di te, il provare a metterti in imbarazzo e a disagio... E poi...» continuò assottigliando gli occhi, come se avesse Laura davanti. «Il modo spudorato in cui ci ha provato con Damiano e Lorenzo.»

«Cosa c'entra Lorenzo adesso?» alzai un sopracciglio provocandola.

Lei fece un gesto veloce con la mano, come se stesse cacciando una mosca fastidiosa. «Hai capito cosa intendo.»

Annuii, perché sapevo esattamente di cosa stesse parlando. «Lo so...»

Poggiò la mano sul mio braccio. «Non starò qua a dirti cosa devi o non devi fare, non solo quel genere di amica, ti starò accanto qualunque decisione tu prenda, ma per il tuo bene devo dirti che una persona come Laura non merita di stare nella tua vita, può solo avvelenarla. Non puoi sentirti in colpa per sempre, ciò che è successo non è colpa tua.»

Quelle parole mi colpirono nel profondo, perché era proprio così. Laura aveva preso ogni cosa che c'era di buono nella mia vita e lo aveva reso velenoso, corroso dall'interno. Ed ero stanca di sentirmi in colpa per qualcosa di terribile che però non era dipeso da me.

«Non è più nella mia vita...» dirlo ad alta voce lo rendeva più reale, concreto e mi permetteva di metabolizzare la cosa.

Arianna sgranò gli occhi. «Cosa?» chiese. «Avete litigato?»

«Voi due!» ci richiamò la professoressa. «Tra poco vi sbatto fuori.»

Rimanemmo in silenzio per un paio di minuti, poi con voce ancora più bassa ripresi. «Ieri mattina, mentre preparava la valigia per andare via.»

Le raccontai tutto mentre fingevamo di ascoltare l'interrogazione dei nostri compagni. Arianna ascoltò attenta, senza fare domande. Quando finii tornò a guardarmi, quelle iridi azzurre come il cielo d'estate trasmettevano comprensione e determinazione. «Hai fatto la cosa giusta» disse risoluta.

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