Capitolo Quattordici

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Facevo battere il piede per terra a tempo con la musica rock che usciva dal piccolo locale.

Io e Arianna eravamo sedute nei tavolini fuori, avevamo trovato un posto per puro caso, il locale era strapieno sia dentro che fuori. Non mi dispiaceva, ero uscita proprio per stare un po' in mezzo alla gente, se avessi voluto stare da sola sarei rimasta a casa.

Mi guardavo intorno, osservando i visi dei ragazzi intorno a noi. Volti giovani, pieni di vita, che ridevano e bevevano, ma che probabilmente nascondevano tanto disagio, insofferenza e insicurezza.

Agli occhi degli adulti, noi adolescenti, abbiamo problemi da poco, ma non si rendono conto che quei problemi nascono da come la nostra generazione è costretta a vivere, senza certezze, nell'ignoto, in continua competizione e con l'ansia di bruciare assurde tappe decise da chissà chi.

«Come va con Nardin?» chiese Arianna seduta di fronte a me, riportandomi alla realtà.

Le mie labbra si incurvarono in un sorrisetto malizioso. «Diciamo che il ragazzo ci sa fare con le dita.»

Arianna scoppiò a ridere e io mi unii a lei.

«Ma la domanda importante è» sussurrò incurvando la schiena e spingendosi verso di me, così che solo io potessi sentire la domanda spinta che stava per farmi. «Aveva gli anelli?»

«No, purtroppo, quella sera non li aveva.» Poggiai i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani unite tra loro. «Ma non vedo l'ora di provarli.»

Arianna stava per rispondere, un luccichio furbo nelle iridi azzurre, ma venne interrotta dal cameriere che ci portò i cocktail che avevamo ordinato.

Il ragazzo, un moro sui venticinque anni molto carino, ci sorrise. «Prego.»

«Grazie mille.» Sbattei le ciglia e lo vidi squadrarmi per poi puntare lo sguardo dritto sui miei occhi.

«Se hai...» si schiarì la gola. «Se avete bisogno di qualcos'altro, chiedete pure.»

Mi limitai ad annuire e lui andò via. Io e Arianna ci guardammo con aria d'intesa e a fatica ci trattenemmo dal ridere.

I ragazzi erano sempre sicuri di se, fino a quando noi ragazze stavamo silenziose e timide. Quando trovavano qualcuno che non aveva alcun timore a stare ai lor giochetti di seduzione, era come se rompessimo quella corazza e si ritiravano indietro.

Io e Arianna ci eravamo promesse di non fingerci timide e indifese per gonfiare il loro ego da maschi alpha. Se un ragazzo voleva stare con noi, se non era intimorito dal nostro modo di fare sfacciato e senza filtri, allora era il benvenuto, in caso contrario: ciao ciao, e avanti il prossimo.

Alzammo i bicchieri pieni fino all'orlo di liquido trasparente, ghiaccio e una fetta di limone e li facemmo cozzare tra loro, mantenendo lo sguardo visivo. Prima di bere lo poggiammo sul tavolo e poi finalmente portai la cannuccia alle labbra, assaporando quel misto di limone e gin, che mi pizzicò piacevolmente la gola.

Era sempre stato il mio cocktail preferito, ed era l'unico che mi concedevo quando uscivo, pieno di ghiaccio così da stemperare l'alcool, non troppo forte.

Notai che il cameriere stava parlando con un suo collega e guardavano me e Arianna. Allora non abbassai lo sguardo, facendogli capire che sapevo che stavano parlando di noi e gli feci l'occhiolino. Loro in tutta risposta sbatterono le palpebre più volte, frastornati, per poi svanire dentro il locale.

«Fate scappare anche i camerieri?» La voce di Lorenzo alle nostre spalle, inconfondibile, mi fece sobbalzare sulla sedia.

Mi voltai e lo trovai in piedi proprio lì, al nostro tavolo. Accanto a lui, nel suo abbigliamento solito, jeans strappati, maglietta nera e giubbotto di pelle, la mano coperta di anelli che teneva il casco, c'era il suo migliore amico.

Coraline Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora