Capitolo Dodici

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L'acqua mi circondava, gli arti si allungavano al massimo della loro ampiezza. Sentivo i muscoli bruciare, ma non mi fermavo. Quel dolore era piacevole, spingere il mio corpo dentro quell'ammasso liquido che odorava di cloro mi dava energia, come una scarica elettrica, come se fossi lì per ricaricare le mie pile che negli ultimi giorni si erano esaurite, soprattutto dopo che l'incubo di quella notte mi aveva prosciugato l'anima.

Come se un'onda mi travolgesse, i ricordi di quella notte maledetta tornarono a perseguitarmi e allora sforzai ancora di più le gambe e le braccia, gli addominali in tensione. Dovevo farla uscire dalla mia testa, dovevo fare in modo che non mi bloccasse il respiro.

Mi fermai bruscamente toccando il muro. Poggiai entrambe le mani sopra, fissando le mattonelle celesti. Il respiro affannoso minacciava di finire, di lasciarmi completamente senza fiato. Ma non potevo concederglielo.

Mi rilassai e mi imposi di calmarmi, pian piano sentii i battiti del cuore rallentare.

Un rumore ovattato arrivò alle mie orecchie e portai subito in alto la testa, i sensi allerta come una zebra che sta per essere sbranata.

Mi voltai verso gli spalti e tolsi gli occhialini per vedere meglio. Ed eccolo, il leone che minacciava la mia tranquillità.

L'unico problema era che Damiano fottuto Nardin, mentre continuava ad applaudirmi con scherno, non aveva ancora capito che io non ero una zebra indifesa, ma una cazzo di orca assassina e si dava il caso che adesso eravamo nel mio territorio.

Così sollevai un angolo della bocca, mi voltai nuovamente verso il muretto e mi issai sulle braccia, sollevando il mio corpo agilmente e donandogli una buonissima visuale delle mie curve strette nel costume intero. Per poi togliermi la cuffietta, girarmi verso di lui, che intanto era sceso dagli spalti e mi stava venendo incontro, e fare nella sua direzione un profondo inchino.

«Non sapevo di avere pubblico, altrimenti avrei fatto di meglio» esordii con un falso sorriso innocente.

Damiano arrivò a un paio di metri da me e si fermò. Senza pudore mi osservò lentamente e io mi concessi di fare lo stesso con lui, prendendomi tutto il mio tempo.

Indossava degli illegalissimi pantaloni di tuta che gli fasciavano le cosce possenti e anche qualcos'altro di possente. La maglietta bianca aderente lasciava poco spazio all'immaginazione, mostrandomi il suo addome scolpito. Le spalle erano fasciate da una felpa aperta sul davanti, il cappuccio alzato sulla testa, dove piccole ciocche ramate uscivano in cima.

Mi fermai un attimo di troppo su quelle cazzo di labbra maledette che volevo sentire di nuovo addosso e per ultimo lasciai gli occhi che proprio in quel momento si incrociarono con i miei. Il marrone sembrava di una tonalità più scura, erano colmi di desiderio.

«Sono molto curioso di vedere il tuo meglio.» E quando pronunciò quelle parole con la voce più roca, capii che non stava parlando del nuoto.

«Sei ossessionato da me, Nardin?» lo provocai senza muovermi, le gocce che scendevano lungo il mio corpo.

Si avvicinò di un passo, accorciando le distanze e sentii un brivido lungo la schiena che aveva poco a che fare con il freddo della sera sulla pelle bagnata.

«Mi devi ancora una risposta, rossa» disse strascicando le parole con quell'accento romano che mi faceva scaldare il sangue.

Passai lo sguardo da lui alla grande piscina a pochi metri da noi e poi di nuovo a lui mentre un'idea prendeva forma nella mia mente.

Gli feci un sorrisetto e lui avanzò ancora e il suo profumo di pulito, muschio e tabacco mi pervase le narici stordendomi un po'.

«Cosa sta ingegnando questa graziosa testolina?» Avvolse nell'indice una ciocca dei mei capelli sfuggiti allo chignon, poi la portò dietro l'orecchio. Il contatto mi lasciò un formicolio sulla pelle.

Coraline Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora