Diana's pov
Come si fa ad odiare così tanto un figlio, da addossargli la colpa della morte della madre?
Sono dieci anni che mio padre, mi ripete ogni giorno come io sia riuscita ad uccidere mia mamma. E tutte le volte che lo dice, gli credo sempre più. Perchè in fondo è anche colpa mia. Non dovevo farla affaticare, il medico aveva detto riposo assoluto, eppure io la invitavo a giocare con me ogni giorno, facendola stancare sempre di più, e come afferma mio padre, fino a portarla alla morte. Non so se a mio padre importa di mia madre, quanto meno non lo da a vedere. Ma io ci tenevo tanto, era la mia migliore amica; lei era la mia Lorelay, io ero la sua Rory. Sia sempre state noi due, non potevamo mai fare affidamento su mio padre, erano più le volte che non c'era di quelle che c'era. Ma a noi andava bene così, a me andava bene così; vedevo che mamma soffriva per questa cosa, ma non lo dimostrava mai. Mi diceva sempre di non dimostrarsi debole dinanzi un uomo, che se mai lo facessi, sarebbe il mio errore più grande. Da quel momento, ogni volta che mio padre mi faceva del male, non reagivo, perché se reagissi, piangerei e basta, le ho promesso, e mi sono promessa che non piangerò mai davanti un uomo, che mi disprezza. Solo una volta mi è successo, mi è successo con quel ladro.
Lui non mi ha screditata, anzi mi ha aiutata, fino a stare bene. Mamma non aveva del tutto ragione, io quel ragazzo non lo conosco eppure quando mi ha vista piangere davanti a lui, mi ha aiutata. Peró mamma non ha del tutto torto, ci sono uomini, come mio padre, che ti disprezzano e ti denigrano. Che non sanno cosa vuol dire la parola 'Rispetto'.
" Diana, ti vedo distratta." Una mano mi punzecchia il braccio, mi giro verso la persona che vorrei strangolare, e vedo che è la mia migliore amica, che mi sta indicando qualcuno. Mi giro verso la persona indicata, e vedo il professore con le braccia conserte, che mi osserva aspettando una risposta. " Ehm, si scusi." Dico, provando un leggero imbarazzo, che mi tinge le guance di rosa scuro. " A che pensavi?" Mi chiede Stef. Il professore ha rincominciato la sua lezione. " Niente di che." Dico, lei mi guarda come a decifrare la mia espressione, ma poi si rassegna. " Ieri mi sono ripresa, dall'altra sera." Dice riferendosi alla sera in cui si è ubriacata così tanto, che non stava in piedi. " Mi fa piacere, ma la cosa che mi fa più piacere, è che non mi hai vomitato addosso." Le dico con un sorrisino furbo. Lei mi sorride di rimando, poi appoggia la testa sul banco e riprende a dormire. La lezione passa, tra i miei mille pensieri, e i respiri profondi di Stefany ancora addormenta. " Stef, svegliati." Lei farfuglia parole strane, e decido di lasciarla dormire ancora un po', mentre noi alunni facciamo una pausa
Cammino tranquilla per i corridoi, fino a raggiungere la macchinetta del caffè, sperando che ci sia poca coda, ma per mia sfortuna non è così. Mi metto in fila, dietro ad una ragazza dai capelli castani, accompagnata da quello che sembra essere il suo ragazzo, dato che si stanno limonando con troppa foga. Cerco di non rivolgergli la mia attenzione, per non risultare psicopatica. " Ehi bella pupa." Un braccio mi finisce sulle spalle, e un ragazzo biondo si catapulta affianco a me. " Ci conosciamo?" Gli chiedo, visto che non l'ho mai visto prima, eppure mi sembra di averlo già visto. Ma certo! Era il ragazzo che stava parlando con Lucifer. " No, non ci conosciamo; ma io conosco la tua amica." Ora cosa c'entra Stef? Ha un ragazzo e non me lo ha detto? Oppure se lo è limonato e basta? " Okay. Quindi cosa vuoi da me?" Chiedo cercando di essere il più gentile possibile. " Volevo chiederti se sai dov'è la tua amica?" Adesso il suo sguardo si fa più intenso, e le sue pupille si dilatano, quasi a coprire le iridi verdi. " È in classe." Rispondo, mentre mi avvicino alla macchinetta. " Mi porteresti da lei?" Mi chiede. Io annuisco e lui inizia a fare alcuni passi, ma lo richiamo. " Prima devo prendere il mio caffè." Dico ovvia. Lui annuisce e mi raggiunge, mi posa il suo braccio muscoloso sulla spalla e mi osserva. Faccio lo stesso anche io, ha dei bermuda azzurri, che gli arrivano fino al ginocchio, una maglietta con una tavola da surf disegnata, e i capelli biondi scompigliati.
" Che c'è ti piaccio?" Mi chiede. Io scuoto la testa in segno di dissenso, ma lui mi pizzica una guancia sorridendo. " Ti stavo prendendo in giro. Tranquilla." Io sorrido di rimando. " Come ti chiami?" Chiedo, accorgendomi solo ora, che non so neanche il suo nome. " Pj. Tu sei Diana. Giusto?" Annuisco. " Senti, mi faresti un favore?" Mi domanda serio. " Di cosa si tratta?"
" Potresti mettere una buona parola su di me, alla tua amica. Tipo che ne so, potresti dirgli che sono simpatico e bello da togliere il fiato." Mi dice terminando con un occhiolino. Io sbuffo divertita, e annuisco. Il suo sorriso si fa ancora più largo e mi da una pacca amichevole sulla spalla. " Ti aiuteró." L a macchinetta, finalmente, si è liberata, prendo il mio caffè e poi ci dirigiamo in classe. Lui non ha mai tolto il suo braccio dalle mie spalle. Stiamo per raggiungere la mia classe, quando qualcuno ferma Pj. Quel qualcuno è Lucifer, mi lancia un'occhiata sorpresa, ma senza rivolgermi parola torna a parlare con il suo amico, che adesso si è allontanato da me. Si scambiano qualche battuta, poi il biondo gli da una pacca sulla spalla e ritorna da me. Lucifer prima di andare mi lancia un'occhiata e mi fa in occhiolino.
" Allora, dicevamo?" Parlotta mentre entriamo nella mia aula. Stef si è svegliata, e in questo momento si sta ritoccando il trucco, specchiandosi nel cellulare. " Stef." Le dico, lei porta la sua attenzione su di me, e poi la sposta sul ragazzo al mio fianco. I suoi occhi sembrano sorpresi di trovarlo qui. " Ehi." Cinguetta, lui si siede accanto a lei, sulla mia sedia. Iniziano a parlare, io mi sento di troppo, decido di uscire a fare una passeggiata, in cortile. Mi siedo su una panchina, appena fuori da scuola e dal mio pacchetto estraggo una Winston. Le sigarette hanno sempre placato il mio nervosismo, che deriva principalmente da mio padre.
Sento una presenza, che si è appena seduta accanto a me, giro lo sguardo e vedo Lucifer, mi afferra la sigaretta, dalla mano, ci fa un tiro e poi me la posiziona tra le labbra. È stato un gesto talmente banale, ma ha smosso qualcosa dentro di me. Senza rivolgermi altre attenzioni se ne va, con la stessa velocità di come è arrivato.
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L'angelo del mio Inferno
RomanceNella Divina Commedia, Dante ha descritto Lucifero come il mostro dell'Inferno, il mostro che tutti temevano. Io rispecchio il mio nome. Sono cresciuto tra le strade di Milano, non ho mai avuto niente, mai avuto un soldo, finché incontrai Hell. Lui...