Un piano geniale - Parte 2

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Ludovico è stremato, come se rivivere l'esperienza gli avesse risucchiato tutte le energie. Con gli occhi lucidi, Cecilia allunga una mano e gli sfiora la guancia con una carezza.

"Conosci l'uomo che ti ha fatto entrare nel giro? O qualcuno degli altri che frequentavano la casa da gioco?" domanda Ginni, che per tutto il tempo si è imposta di restare lucida e di evitare insulti improduttivi – non che la sua mente non ne abbia formulati, nel frattempo.

"No" esala Ludovico, costernato. "Si chiamavano tutti per soprannome, non so niente di loro. Io, ad esempio, mi facevo chiamare Rocket Man. Avete presente?" confessa Ludo con una punta di orgoglio.

"Apollo 13 sarebbe stato più appropriato" sfugge a Ginni fuori dai denti.

Giulio le indirizza un sorriso di intesa. Presa com'è dalla confessione di Ludo, Ginni lo scorge solo di sfuggita. Giusto il tempo di domandarsi come sia possibile che quell'espressione irriverente campeggi in modo perenne sul viso del ragazzo; sembra che nulla sia in grado di scalfirla. Scaccia in fretta questi pensieri inutili, però, e torna a concentrarsi: ha ancora un sacco di domande da fare a Ludo.

"Hai mai incontrato qualcuno di loro al di fuori di quel posto, in giro per la città? Non hai mai avuto modo di parlarci?"

Ludovico muove il capo in segno di diniego. "No. Erano tutti molto attenti a conservare la propria privacy."

"Hai mai visto o parlato di questo con il proprietario del bar, Santo?"

"No, mai", conferma Ludo.

"E Nuccio, invece? Che ruolo ha avuto in tutto questo? Saprà sicuramente qualcosa, non può non essersi accorto di quello che succede nel bar in cui lavora. Deve essere collegato a questa gente, in qualche modo!" insiste Ginni.

Ludovico scuote ancora il capo. "Non che io sappia. Anche se, a dire la verità, quel giorno al bar, quando quel tizio mi si è avvicinato ho avuto la netta sensazione che Nuccio ci stesse osservando. Ripuliva il bancone, all'apparenza, eppure mi sembrava di avere i suoi occhi addosso. Forse è stata solo una mia idea, non lo so. Non è niente che io possa dimostrare, in ogni caso. Mi spiace, ragazzi. Mi spiace, amorino mio" conclude, posando una mano sopra quella di Cecilia. "Non immaginavo che saremmo arrivati a questo punto. Ho piantato un bel casino."

"Bene, allora," riprende Ginni, che ormai comincia a sentirsi la detective del gruppo, "adesso che sappiamo come si sono svolti i fatti, mi pare ovvio che ci sia un'unica soluzione."

"Già" mormora Cecilia, che sembra sovrappensiero, ma che quando ha quello sguardo assente in realtà significa che sta architettando qualcosa – quasi sempre delle nuove stories per i suoi profili social, a dire il vero.

Ginni fa scorrere lo sguardo su tutti i presenti seduti al tavolo: "Andremo da papà e mamma, tutti insieme. Gli spiegheremo la situazione, sono certa che ci aiuteranno. E anche che ti perdoneranno, Ludo. Forse ci vorrà un po' di tempo... ma se saremo tutti schierati dalla stessa parte, credo che potremo convincerli a non sbatterti fuori a calci da casa nostra."

"Che cosa?" ribatte Cecilia, inorridendo a quella prospettiva. "Certo che no! Non faremo niente di tutto questo! Mamma e papà non devono sapere nulla, non capirebbero! Non perdonerebbero mai Ludo, loro. Sono così... rigidi! Niente scandali, niente pubblicità al fattaccio, niente di tutto questo! Dobbiamo pensarci noi, e un modo per venirne fuori senza coinvolgerli c'è! Possibile che non ci arrivate?"

Gli altri tre attorno al tavolino scuotono il capo, attoniti.

"Come volevasi dimostrare. Lo sapevo che alla fine sarei stata io a dovervi imboccare con la soluzione! Eppure è così lampante, no? È sufficiente che uno di noi vada al bar di Nuccio e si faccia adescare, gli altri lo seguiranno e, quando arriveranno quei delinquenti, scatteremo delle fotografie col cellulare. Identificheremo i cattivi, andremo a denunciarli e chiuderemo la questione una volta per tutte senza bisogno di coinvolgere i nostri genitori. Non vi sembra un piano geniale?"

Tutta colpa dello sposoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora