Nella tempesta - Parte 2

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A Giulio e Ginni non resta che sperare che, restando pancia a terra nel sottobosco, riescano a sfuggire al cono di luce che a intermittenza punta verso di loro, ma soprattutto che il tizio si stanchi presto e rinunci ai propri propositi.

Dal basso dove si trovano, fra un rovo e un cespuglio, riescono a intravedere i suoi grossi piedi. Muovono un passo dopo l'altro, lentamente, seguendo l'orbita dell'alone lattiginoso della torcia. Si fermano, si voltano nella loro direzione, proprio di fronte a loro. Il bagliore di luce passa appena sopra le loro teste.

Si avverte uno schiocco metallico che a Ginni e Giulio suona fin troppo familiare. È lo stesso rumore che hanno sentito quando, il giorno del matrimonio, il bestione ha puntato la pistola in faccia a Ludovico. Ginni e Giulio trattengono il respiro. Un secondo, due, tre.

I due ragazzi e il malvivente sono così focalizzati sul proprio obiettivo – rispettivamente: vivere e uccidere – da perdere la concezione di ciò che li circonda.

Nessuno fa caso a ciò che accade nel frattempo: il vento, il tuono, il petricore nell'aria.

La pioggia inizia a cadere. Le grosse gocce, dapprima sporadiche, presto si tramutano in un diluvio in piena regola.

Ginni e Giulio sono colti alla sprovvista; restano immobili per un tempo indefinito, consapevoli dell'impossibilità di fuggire da quella doppia trappola.

D'istinto cercano aiuto l'una negli occhi dell'altro. È troppo buio per vedersi e non possono comunicare a parole, eppure in qualche modo percepiscono che si stanno guardando, sanno di sentirsi sperduti e spaventati nello stesso modo.

Il braccio che Giulio teneva sulla schiena di Ginni scivola via a cercarle la mano, la trova, la stringe. È l'unico modo che hanno per farsi forza a vicenda.

Se la torcia dell'energumeno li inquadrasse ora li troverebbe così, a fissarsi senza vedersi, sotto la pioggia scrosciante. Fradici, con il cuore in gola e le dita intrecciate strette.


A proposito della torcia, nella mente dei due sembra passare simultaneamente lo stesso pensiero: sono stati entrambi così distratti dal temporale che nessuno si è reso conto che poco dopo l'inizio del diluvio è scomparsa ogni traccia di luce. La pioggia, provvidenziale, deve aver fatto desistere il gorilla dalla sua ricerca.

Temendo che sia troppo presto per cantare vittoria, nonostante il disagio e il fango con cui stanno a poco a poco diventando tutt'uno, Ginni e Giulio rimangono comunque fermi e in silenzio, e fanno bene.

Presto un rombo di motore si avvicina sovrastando il rumore della pioggia. Due fanali si fanno largo nel buio, ed ecco l'auto del tirapiedi che ripercorre in senso inverso la strada sterrata. Arranca nel tratto peggiore, dove le buche si sono fatte subito pozzanghere, sembra slittare, rallenta, ma poi si riavvia e si allontana in direzione delle retrovie cittadine.

Finalmente anche l'ultimo bagliore di luci rosse scompare e torna a regnare l'oscurità.

Ginni e Giulio decidono di dichiarare lo scampato pericolo. Il primo a rimettersi in piedi è lui che, seppur dolorante, non emette un solo verso di lamento. Tende la mano a Ginni, aiuta anche lei a risollevarsi dal pantano; raccoglie il suo zaino e glielo porge.

Ginni non è altrettanto stoica e, rialzandosi, si lascia sfuggire un mugolio di dolore.

"Stai bene, sei tutta intera?" è la prima cosa che le chiede Giulio.

"Potrei stare meglio" ammette lei, tastandosi nei punti più dolenti, "ma penso di non avere nulla di rotto."

"Mi dispiace, ho dovuto per forza spegnere il motore e uscire di strada. Quando ho visto che ha fermato l'auto ho capito che non avremmo avuto alternative. Però ho sottovalutato la resistenza di questi arbusti: invece di passarci sopra ci abbiamo sbattuto contro e ci hanno catapultato a terra."

"È tutto a posto, tutto a posto", dice Ginni, anche se si capisce benissimo che non è così.

Il diluvio non concede tregua ma, se non altro, si è tramutato in una pioggia leggera. Nel mezzo di quel silenzio esitante il ticchettio delle gocce sulla vegetazione resta l'unico suono udibile.

Entrambi i ragazzi riflettono su quale sia la priorità nelle cose da dire e da fare; il primo a prendere la parola è di nuovo Giulio: "Sei arrabbiata con me?"

"No... cioè, sì!" protesta Ginni. "Non avresti dovuto seguirlo fin qui, avresti dovuto capire che era una trappola!"

Un fulmine squarcia il cielo sopra di loro, il tuono a corredo lo segue immediatamente.

L'istante di luce è sufficiente per mostrare a Giulio una Ginni così affranta, fradicia e impaurita da riscuoterlo e spingerlo a sfoderare tutto il proprio pragmatismo.

Giulio si tasta, trova ed estrae di tasca il cellulare, accende la torcia.

"Resta qui," impone a Ginni, "recupero la vespa e torno ad aiutarti."

Non gli occorrono che pochi minuti per mettere in atto quanto ha promesso. Quando Giulio ritorna a prenderla, Ginni è ancora ferma in piedi nello stesso punto dove lui l'ha lasciata, le braccia strette attorno al busto in un gesto autoprotettivo.

Giulio le tende una mano. "Vieni", le dice, "la vespa è un po' malconcia, ma si è rimessa in moto. In un attimo saremo di nuovo per strada."

Ginni è più scossa di quel che vorrebbe sembrare, non dice una parola. Sotto la pioggia battente, si lascia condurre oltre i cespugli, si issa sulla vespa, si infila il casco che nel frattempo ha recuperato e si stringe forte a Giulio. Sempre restando in silenzio.

Non chiede nemmeno dove stanno andando, non guarda nemmeno la strada. Non ci pensa neanche, spaventata com'è. Forse dà per scontato che Giulio la stia riportando a casa. Torna in sé soltanto quando, dopo un breve tragitto, il ragazzo si infila in un cancello aperto, parcheggia sotto una tettoia, spegne il motore e le fa cenno di scendere.

"Dove siamo?" chiede, spaesata.

"A casa mia" risponde Giulio, non senza una nota di timore nella voce. Dopo tutto quello che è successo, Ginni potrebbe anche prenderlo a sberle per averla portata in un luogo dove non si sente a suo agio.

"Spero non ti dispiaccia", si affretta infatti ad aggiungere, smontando dalla vespa, "è il posto più vicino in cui avremmo potuto trovare riparo, e dove nessuno, vedendoti tornare in questo stato, ti avrebbe fatto un interrogatorio."

Incredibilmente, però, non gli giunge nessuna protesta in risposta: Ginni si limita ad annuire e a seguirlo.

Tutta colpa dello sposoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora