46° Storia di una pecora che voleva essere lupo

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Andrea Rigoni era nato per quel momento, ora ne era certo, mentre osservava compiaciuto il corpo esanime di Omar Signori.
Era il timore dell'essere scoperto, giudicato e condannato ad aver frenato ogni pulsione che sin da bambino lo accompagnava.
Non aveva mai fatto del male a nessun essere vivente; Non fisicamente, almeno fino a quel giorno tanto agognato, sognato prima, programmato poi, fin nei più minimi dettagli.
Sapeva esattamente cosa sarebbe successo da quel momento in poi.
Afferrò saldamente la pistola con la mano dominante e sferrò con il calcio un paio di colpi dritti alla tempia.
Il sangue zampillò copioso al suolo, lasciando Andrea visibilmente stordito.
Respirò profondamente, poi spostò il corpo verso la scrivania sbattendo violentemente il fianco.
Trattenne a stento un gemito di dolore, mentre con il dorso della mano libera spazzava al suolo qualunque cosa occupasse la sua visuale.
Cercò infine la calma.
Inspirò.
Espirò.
Quindi pensò al dopo, la mente improvvisamente lucida, pronta a compiere ogni passo verso il compimento di quel progetto che aveva creato giorno dopo giorno, mattone su mattone.
Era euforico, nonostante il dolore; da quel momento in poi avrebbe avuto inizio l'assolo finale, la sua voce si sarebbe elevata sopra ogni cosa.
Infine avrebbe immaginato il tripudio degli spettatori in delirio che chiedevano umilmente il bis.
Prese lo smartphone dalla tasca dei pantaloni e digitò il 113.
Giusto un paio di squilli ed una voce cordiale ma decisa lo accolse, esortandolo immediatamente ad esporre i motivi della chiamata.
Andrea sogghignò fiero, stava andando tutto come previsto, forse oltre ogni più rosea aspettativa.
Lo zelante agente avrebbe preso nota di ogni informazione e passata poi a chi di dovere.
Avrebbe solo dovuto attendere l'arrivo delle forze dell'ordine congiuntamente ai soccorsi, quindi rispondere alle prime domande degli agenti e successivamente seguirli in centrale per affrontare il vero interrogatorio.
Lì, esattamente in quel luogo, il dottor Andrea Rigoni avrebbe fatto sfoggio di tutta la sua arte oratoria, rispondendo a qualsivoglia domanda e se necessario cambiando radicalmente l'ordine degli addendi.
Il risultato, alla fine, sarebbe stato il medesimo.
I dubbi avrebbero fatto spazio a solide certezze, il presunto carnefice scagionato da ogni tipo di accusa.
Omar Signori sarebbe stata la perfetta vittima sacrificale, il capro espiatorio, l'uomo capace di tutto, in preda al dolore e alla follia.
Andrea pensò che, in fin dei conti, avrebbe dovuto ringraziarlo per quell'inaspettato colpo di scena, anche se ormai era troppo tardi.
Sorrise, mentre l'agente in linea lo invitò ad attendere l'arrivo dei colleghi.
La chiamata s'interruppe, nella stanza calò improvvisamente il silenzio.
Lo psicologo si avvicinò al corpo di Omar, chinandosi osservò il rigor mortis che aveva iniziato a manifestarsi.
Ritornò con la mente al passato, in un'asfittica camera mortuaria; un giovane ragazzo stava osservando il corpo senza vita della madre, posto diligentemente in una bara.
Sembrava serena, ogni dolore era scomparso, vaporizzato nel nulla.
Il giovane conosceva quel dolore che, giorno dopo giorno aveva consumato le sue carni fino a renderla un pallido ricordo, una foto sbiadita da tenere in un cassetto.
Andrea tornò al presente.
Ripensò al modello Kübler-Ross, alla teoria secondo la quale l'uomo per elaborare il lutto avrebbe dovuto affrontare fino a cinque distinti stadi del dolore.
Diniego, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione erano queste le fasi; Andrea ne era venuto a conoscenza durante i corsi di studio e le analizzate negli anni ma sembrava che nessuna di queste facesse parte della sua personale elaborazione del lutto.
Gioia, conforto e probabilmente una certa dose di eccitazione, erano queste le sensazioni che aveva provato nei momenti successivi alla perdita.
In alcuni istanti provò anche un certo disagio, dovuto al fatto che il suo essere fosse assolutamente lontano dai canoni comuni, ma anche questa sensazione con il passare del tempo svanì lasciando spazio a sentimenti sempre più inquietanti ed oscuri.
Un suono di sirene lo riportò al presente.
Era giunto il momento di entrare definitivamente nel personaggio.
Andò alla porta d'entrata, la spalancò e attese sull'uscio.
Guardò l'orologio ed esclamò sottovoce: <mi raccomando Joseph non deludermi ancora>.



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