41° Anemone

11 0 0
                                    

Aisha si sentiva osservata, studiata, quasi vivisezionata dagli sguardi indagatori dei genitori, seduti in religioso silenzio sul sofà posto di fronte a lei.
<Allora, volete dire qualcosa o pensate di rimanere qui in eterno a morire di vecchiaia?>
Attaccare prima di essere attaccati, nascondere il disagio, la paura o più semplicemente evitare quello che l'evidenza confessava oltre ogni bugia.
Aisha era conscia di cos'aveva fatto, un salto nel vuoto, nel vano tentativo di dare una spiegazione a quel dolore lacerante che la tormentava.
L'essere umano ricerca la verità, la esige, ne ha fatto nei secoli un punto fermo.
Eppure la sincerità assoluta è pura utopia, sinonimo di miraggio, di castelli costruiti per aria che presto scompaiono sottoforma di piccole bugie chiamate bianche, perché nessuno può vederle, ne percepirle.
E poi menzogna si sovrappone a menzogna, infine tutto si fonde creando la più grande delle falsità.
Questa prende il nome da cui ogni cosa ha avuto inizio.
Verità.
Aisha non ricercava nulla di tutto ciò.
Avrebbe mentito, ai suoi genitori, ad amici, parenti, persino al mondo se fosse stato necessario.
Ma soprattutto avrebbe mentito a se stessa.
<Perché l'hai fatto?> esordì la madre con voce tremante.
<Che cosa avrei fatto di preciso?>
<Smettila Aisha; non serve> esclamò il padre, cercando d'imprimere in quelle semplici parole tutto il suo disagio interiore.
<Cosa volete sentirvi dire, che ho cercato di lanciarmi giù da un ponte? Sì l'ho fatto.
Volete sapere il perché?>
I genitori, basiti, si sporsero in avanti, aspettando una risposta, una rivelazione che cancellasse ogni dubbio dalle loro fragili menti.
Aisha si prese tutto il tempo, conscia che tutto ciò li avrebbe logorati...almeno un po'.
<Ero stanca; sono stanca>.
<Di cosa?> irruppe la madre.
<Delle bugie, di essere presa in giro da voi, da tutti quelli che pensano di proteggermi, ma poi da cosa o da chi?>
<Piccola mia, non riesco a capire> disse il padre palesemente confuso.
<Siamo noi il motivo del tuo malessere?
Il nostro riavvicinamento ti ha in qualche modo creato disagio?>
Aisha guardo entrambi, palesando in volto tutta la sua tristezza per quei pensieri così lontani dalla realtà.
<Davvero non capite?
Eppure il mio disagio è anche il vostro.
Tu mamma, ti sei rinchiusa fra queste quattro mura, rinunciando a vivere e passando ogni singola giornata fra il giardino e la cappella di famiglia, dove fissi per ore una tomba vuota.
E tu papà, piano piano ti sei allontanato da noi, hai chiuso ogni porta, fino a che...>
Non riuscì a finire la frase, il volto rigato dalle lacrime; Thomas era il collante che teneva unito quel fragile legame chiamato famiglia ed ora apparteneva esclusivamente ad un cumulo di ricordi racchiusi in scatoloni pieni zeppi di videocassette.
<Come l'hai scoperto?> intervenne il padre, gli occhi fissi al suolo, i pensieri altrove.
<Osservando l'ultimo filmato che ha registrato.
Lui era lì, fronte camera e chiedeva disperatamente aiuto>.
<Non capisco> esclamò la madre in tono allibito.
<Semplicemente non se n'è andato, come scioccamente abbiamo sempre creduto> ribatté il padre, serrando poi violentemente le labbra fra i canini, nel vano tentativo di rimangiarsi quella terribile verità.
<Esatto, la vostra bugia è diventata la mia, solamente ho cercato di essere con gli altri un po' meno originale; per il mondo Thomas è morto in seguito ad una terribile malattia, che l'ha logorato giorno dopo giorno fino all'ultimo respiro>.
Aisha si alzò in piedi, stranamente si sentiva libera, di pensare, respirare, amare, odiare, in poche parole di fare quello che qualsiasi ragazza della sua età avrebbe fatto.
Ora poteva finalmente tornare a vivere.
Lasciò il salotto, diretta all'uscita.
Non si voltò nemmeno una volta.

GIONATADove le storie prendono vita. Scoprilo ora