20° Il giorno più nero

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Erano le parole che non disse a provocarmi una certa irrequietudine.

Non aprì bocca, neanche quando fummo soli nella grande sala da pranzo.

Freddo, era questo che provavo osservando lo spazio bianco attorno a noi. 

Le pareti completamente nude davano l'esatta dimensione della realtà in cui Aisha viveva.

Era tutto piuttosto triste.

Con estrema vergogna mi ritrovai a pensare che dopotutto la mia vita non era poi così male se paragonata alla sua.

Mi sarei preso a schiaffi se proprio in quell'istante non avessi incrociato il suo sguardo perso nel vuoto.

Era tutto così dannatamente strano, come se quella casa fosse un enorme contenitore di cupi pensieri che non l'abbandonavano mai.

Forse era anche quello il motivo della mia presenza, un mezzo, semplice e allo stesso tempo efficace per fuggire dalla realtà che la circondava ogni giorno.

<Dimmi quello che pensi; la verità>.

E così feci.

<E' tutto così cupo, asettico, come se non ci abitasse nessuno; e poi tu, non sei per nulla felice>.

<Si  nota così tanto?>

<Giusto un attimo>.

Abbozzò ad un sorriso e questo bastò per sollevarmi.....almeno per un istante.

<Andiamo in camera?>

<Cosa?>

<Non sapevo che oltre alla memoria avessi perso anche l'udito!>

Sarcasmo, una cosa a cui lentamente e inesorabilmente stavo incominciando ad abituarmi.

Salimmo le scale che portavano alla zona notte.

Notai un'atmosfera diversa, forse data dalle pareti colorate di un rosa allegro e dai lampadari a goccia che illuminavano il lungo corridoio.

Procedemmo diritti, lasciandoci alle spalle una serie di porte anonime.

Tutte fino all'ultima.

Osservai le locandine di vecchi film che tappezzavano ogni suo centimetro, quasi a nasconderne la presenza ad occhi indiscreti; i miei.

Aisha sfilò dalla tasca dei pantaloni una chiave e la infilò in quella che fino a pochi secondi prima era la spalla di un uomo.

La fece girare un paio di volte e prima di aprire esclamò:<quello che vedrai rimarrà fra me e te; promettilo>.

Strinsi la sua mano protesa in avanti ed un istante dopo fui catapultato in un altro mondo.

Mi ritrovai ad osservare estasiato una serie di librerie, poste ai quattro lati della stanza, ingombre di fumetti provenienti da ogni angolo del mondo, action figure di mecha perlopiù giapponesi, ancora poster e poi libri di vario genere, dal thriller al fantascientifico, fino ad arrivare alle divulgazioni scientifiche.

Mi sembrava di essere entrato nel paese delle meraviglie ma questa volta era la stessa Alice a farmi da guida.

Osservai Aisha che si avvicinava ad una scrivania; era posta esattamente di fronte alla finestra, che a sua volta si affacciava sul giardino.

Fece passare la mano destra su un televisore a schermo piatto, per poi proseguire verso un portatile e una videocamera all'apparenza piuttosto datata.

Era tutto posto in modo ordinato, pulito e senza il benché minimo alone di polvere.

Tutto così perfetto e allo stesso modo così contraffatto.

<Non è la tua camera vero?>

<Da cosa l'hai capito?>

<Ti muovi con circospezione, come se avessi paura che qualcosa possa essere fuori posto>.

<Beh, probabilmente hai ragione>.

Aisha si spostò verso il letto, accomodandosi sul bordo.

<Vieni?> esclamò, indicando un punto affianco a lei.

La raggiunsi; questa volta ero io ad essere guardingo.

<Ti andrebbe se ti raccontassi una breve storia?>

<Certo, anche se sai già che molto probabilmente la scorderò, come del resto tutto ciò che accadrà oggi>.

<Forse sì, ma ti ricordo che grazie alla sottoscritta sei migliorato parecchio in quanto a ricordi>.

<Anche questo è vero>.

E lo era, perché fino a qualche mese prima non mi sarei mai aspettato di passare da un giorno all'altro ricordando il volto e il nome di una persona.

<Bene, adesso mettiti comodo e ascolta>.

<Ok>.

<C'era una volta una famiglia che viveva felice, in un modo tale da fare invidia al mondo.

Il padre era un tipo indaffarato, sempre in giro a risolvere contenziosi fra persone di varie etnie e religioni, mentre la madre se ne stava a casa, cercando, con polso fermo e pazienza di educare i due figli.

Già, perché il piccolo Ian era un bambino sveglio, sempre pronto alla scoperta, anche a costo di cacciarsi nei guai.

A seguirlo come un ombra c'era l'ancor più giovane Aisha, timida e introversa come la vedi ora>.

Sobbalzai.

<Hai un fratello?>

<Lo trovi strano?>

<No, se almeno una volta me ne avessi accennato>.

<Aspetta, la storia non è finita>.

<Ti dicevo, Thomas era il capo ed io il suo subordinato; insieme abbiamo reso la vita di nostra madre un vero inferno; forse avrebbe potuto essere diverso>.

<Diverso cosa?>

<Il mondo, visto dai suoi occhi e da quelli della videocamera che portava ovunque>.

<Non capisco>.

<Sai, lui era migliore in tutto e come ogni storia che si rispetti quando il figlio più bravo viene a mancare la famiglia si spezza; come un albero in mezzo alla tempesta>.

Rimasi a bocca aperta mentre mi raccontava della malattia, una leucemia fulminante che in pochi mesi aveva spento la giovane vita del fratello.

La vidi piangere, versare lacrime tristi e amare, in una perfetta e diabolica commistione di sentimenti.

Fu allora che la presi fra le mie braccia, stringendola e sussurrandole dolcemente: <perdonami, avrei voluto esserci, ma adesso sono qui e non ti abbandonerò mai, qualunque cosa accada>.












































































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