38° Nero pece

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Era l'assenza di colore, quella macchia scura in continua mutazione su uno sfondo perennemente anonimo.
Era il terrore sotto la pelle, lo scorrere fluido del sangue nelle vene, il vuoto di pensiero, le sinapsi in corsa contro il tempo che ineluttabilmente, alla fine, avrebbe comunque vinto.
Era il fosco pensiero della mente, eredità familiare mai cercata e tantomeno condivisa.
Era la solitudine, l'inadeguatezza al vivere comune, alle semplici relazioni e più in particolare al buon vivere.
Era tutto questo e molto altro che aveva spinto Andrea Rigoni verso la psicologia, nel seppur fuggevole tentativo di aiutare se stesso, dando conforto alle menti altrui.
Brillante per definizione, curioso e appassionato della bellezza in ogni sua forma, seppur privo di grande fascino, era amato da donne e uomini in egual misura, cosa che lo portava a intraprendere relazioni fallimentari e spesso deleterie.
Anaffettività congenita, una conclusione logica, ma non meno amara.
Andrea si annodò la cravatta, lasciando scorrere le dita affusolate sul tessuto jacquard in seta blu diamante. 
<Perfetto...e totalmente inutile> esclamò, lasciando cadere lo sguardo al suolo.
Si spostò dalla camera al salotto, prelevando il mazzo di chiavi che placidamente campeggiava sopra il tavolo.
Osservò per un ultimo istante il locale, lindo, asettico, dal vago odore di non vissuto.
Sorrise, tristemente, come se ogni sguardo facesse parte di un lungo, interminabile addio.
Uscì di casa, lasciando alle sue spalle il nulla.





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