21° Anna Linberg

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Se ne stava lì, seduta sotto la pompeiana, su una panchina vecchia come i suoi pensieri.

Odiava il suo nome e ancor più il cognome, figlio di un passato fatto di agi e sregolatezze.

Era diventata tutto ciò che avrebbe voluto essere, eppure in quel preciso istante non provava che un sentimento di estrema infelicità, mista ad una rabbia trattenuta e inespressa per troppo tempo.

Avrebbe voluto urlare, come nelle notti in riva al mare, cercando fra uno spinello e una birra delle risposte alle quali però sarebbero succedute altre domande.

Si era sposata per amore, non per agio; non ne aveva bisogno.

Aveva amato quell'uomo, in salute e malattia, nella buona e cattiva sorte.......finché morte non li separò.

Non pianse; mai.

E non sorrise più, perché in quel caso avrebbe implicitamente affermato di essere tornata alla vita quando invece era tutto il contrario.

Chiuse gli occhi e ritornò a quel giorno in riva al lago.

Era una giornata di sole, come ci si aspetterebbe in estate.

Lo specchio d'acqua placido e cristallino rifletteva i colori del sole.... e la sua immagine, persa ancora una volta in pensieri troppo grandi per una diciottenne.

Alle sue spalle c'era lui, in contemplazione, timido quanto basta per passare due settimane ad osservarla da lontano, senza fare una mossa.

Ma quel giorno era diverso da tutti gli altri; c'era il sole.

E il sole è vita.

E speranza.

E tutto quello che di buono esiste al mondo.

<Splendido> esclamò titubante, mentre lei continuava ad osservare inerme il suo riflesso.

<Cosa?>

<L'arcobaleno all'orizzonte>.

Indicò un punto in lontananza, dove si stagliava una lunga scia colorata.

<E' vero, la pioggia ha smesso da poco>.

Si voltò; stava sorridendo, come se tutti i pensieri fossero scivolati via, inglobati dal giorno che presto sarebbe volto al termine.

Si destò, ritrovando il giardino e i suoi colori, più simili ad un desiderio inesaudito che ad una speranza ritrovata.

Prese forza da quei ricordi, si alzò e cominciò una lunga camminata, contemplando ed osservando minuziosamente ogni singolo fiore o pianta presente nella tenuta; d'altronde era l'unico retaggio lasciatole da quell'uomo che un tempo chiamava amore.

Passò fra piante di lavanda in fiore che diffondevano il loro intenso profumo nell'aria.

Paolo le aveva portate a casa di ritorno da un viaggio in Provenza.

<Sai, dicono che siano uniche al mondo perché fioriscono tutto l'anno>.

Al tempo lo aveva preso per pazzo, tranne poi ricredersi, quando in pieno inverno era rimasta estasiata da quello spettacolo fatto di colori e profumi intensi.

<Paolo> rimase a bocca aperta mentre pronunciava quel nome; non lo faceva da tempo immemore.

Una fitta lancinante le trapassò il petto; per un istante si sentì come un soldato al fronte, colpito mortalmente dal fuoco nemico.

Erano i ricordi e le parole che ne conseguivano a dannarla, come succede per tutte quelle persone che hanno amato ed ora, per un motivo o per l'altro non riescono più a farlo.

Anna ne era pienamente cosciente e sapeva esattamente il momento in cui aveva smesso di provare quei sentimenti.

Chiuse gli occhi e lasciò che un lungo respiro riportasse ogni cosa al suo posto.

Quel viaggio non era ancora finito; almeno fino a che non avesse raggiunto quel posto.

Abbandonò i profumi della lavanda, per poi inoltrarsi fra siepi ed altre piante che stavano aspettando solamente la primavera per ritornare al loro antico splendore.

Infine arrivò a destinazione.

Era passato relativamente poco tempo, eppure quella Cappella gentilizia sembrava appartenere ad un epoca antica; un simbolo, opprimente e decadente.

Una piccola costruzione quadrangolare era stata eretta ai margini della proprietà, nascosta da qualsiasi occhio indiscreto.

Il bianco delle mura esterne era spezzato da una rosa rampicante che saliva fino in cima alla cupola; il tempo mite aveva permesso alla pianta di far crescere alcuni boccioli che timidamente erano sbocciati, fino a diventare delle splendide rose di un colore rosso intenso.

<Il sangue delle vergini> così Aisha aveva definito quella struttura, mentre con la punta delle dita indicava un ipotetico corpo, dalla cui candida pelle scendeva inesorabilmente una scia interminabile di liquido viscoso.

Anna era rimasta inorridita da quelle parole, ma ora, mentre se ne stava lì, ferma immobile, forse iniziava a comprenderne il significato.

Non avrebbe voluto entrare, ma lì riposava il suo grande amore.

Per lui aveva smesso di amare Paolo, marito e compagno di una vita, ma che ora non c'era più, schiacciato da quel senso di colpa opprimente, ed ora relegato ad un pallido ricordo sbiadito dal tempo.

No, non era morto, si era solo allontanato da un dolore troppo grande per un cuore così fragile.

Anna trattenne le lacrime, come aveva sempre fatto.

Aprì la porta della cappella.

Il cigolio delle cerniere in protesta l'accolse, spezzando il silenzio della stanza.

Avanzò fino al centro della struttura, dov'erano poste una serie di tombe anonime; tutte tranne una.

La riconobbe dai fiori freschi che adornavano placidamente quella foto; Aisha li portava ogni giorno, anche se non l'avrebbe mai ammesso.

Si avvicinò, lasciando che il peso della stanchezza la mettesse in ginocchio.

Fu in quel preciso istante che crollò, come non aveva mai fatto prima, scoppiando in un pianto a dirotto.

Si ricompose quasi subito, perché lui l'avrebbe voluta forte e decisa come sempre.

Ritornò in posizione eretta, asciugò le ultime lacrime rimaste ed esclamò: <ciao piccolo mio, finalmente la mamma è venuta a trovarti>.

GIONATADove le storie prendono vita. Scoprilo ora