Capitolo 2

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 «Avrei preferito apprendere da lei certi cambiamenti.» La conversazione andava avanti da un po' all'interno dell'ufficio del preside, dove Silente osservava Piton da dietro gli occhiali a mezzaluna. Il preside era estremamente calmo e serafico mentre l'altro inveiva in sibili che trattenevano una rabbia ben visibile nei suoi occhi neri, due braci. «Non pretendo di essere in grado di farle abbandonare l'idea di attuare certe stramberie, ma almeno gradirei essere preparato prima di trovarmi in compagnia dei Malfoy.»

«Hai ragione, Severus.» Convenne l'altro con voce morbida. «Non è bene che i tuoi vecchi amici dubitino dell'importanza che hai, ai miei occhi.»

Piton non ebbe granché da replicare, così si limitò a starsene seduto di fronte a lui, rigido mentre realizzava di non aver altro da dirgli. Improvvisamente capì di aver mostrato fin troppo astio per quel dettaglio, così si fiondò su una questione che lo premeva decisamente di più.

«Ho innalzato personalmente le barriere magiche a nord del Castello. Ho svolto il lavoro al meglio delle mie capacità, ma vorrei che faceste un ultimo controllo. Per sicurezza, intendo.»

«Mi fido ciecamente delle tue abilità, Severus. Non ce ne sarà bisogno.»

Piton soffocò con forza il compiacimento che le sue parole avevano risvegliato, replicando con durezza: «Errore che non è nella posizione di permettersi, Silente. Quest'anno non sono ammesse sbavature.»

«Il ragazzo è ben protetto, non devi preoccuparti.»

Questa volta fu faticoso reprimere il bruciante malessere che gli salì dalla bocca dello stomaco, costringendolo ad una pausa prima della sua bassa, sibilante precisazione: «Mi riferivo alla pietra filosofale.»

Silente sorrise, sibillino. «Naturalmente, sì.»

Piton si alzò, deciso a non permettergli di insinuare oltre e, soprattutto, per celargli che in fin dei conti era del figlio di Lily che stava parlando.

«Gli studenti stanno per arrivare. Raggiungo i colleghi al tavolo degli insegnanti.» Fece piatto, girando sui tacchi per avviarsi all'uscita.

«La verità...» La voce del preside arrestò il suo incedere, ma non lo portò a sbirciare verso di lui. Si limitò ad ascoltarlo, immobile e attento, una maschera di gelo e indifferenza ben piazzata sul volto inespressivo. «...è che speravo di darti qualcosa che rendesse piacevoli i tuoi anni, da adesso in poi.»

Le dita di Piton fremettero e per un attimo parve tentato dalla bacchetta nascosta nella manica della sua veste. Uno schiantesimo in faccia al preside non gli avrebbe garantito il posto, pensò. Non rispose, prese atto delle sue parole e poi si avviò verso l'uscita. I ritratti bisbigliavano eccitati al suo passaggio, erano pronti ad accogliere il viavai di studenti e tutto il castello pareva risvegliarsi, pulsare di vita. Fece sosta al bagno degli insegnanti, si sciacquò il volto e rimase impassibile a guardare il proprio riflesso sulla superficie del vetro. Somigliava sempre di più ad Eileen Prince, che di per sé non era una bellezza, ma almeno non aveva granché del marito, suo padre. Solo il nome e gli occhi rabbiosi. Una rabbia che adesso lottava per tenerla imbrigliata, legata come una bestia che minacciava di mordere e scalciare.

Il figlio di Lily sarebbe arrivato di lì a pochi minuti, si sarebbe seduto sullo sgabello e il cappello parlante lo avrebbe smistato. Avrebbe avuto paura o sarebbe stato sicuro e arrogante come quel rifiuto di suo padre?

Ha i suoi occhi, si ripeteva dal giorno in cui Silente glielo aveva detto, tanti anni addietro. Cosa se ne poteva mai fare, lui, di uno sgorbio con gli occhi uguali a quelli di Lily? Che consolazione poteva mai trarne?

Vide il suo viso indurito con tale abilità da apparire freddo, vuoto, solcato da occhiaie e rughe di stanchezza che gli conferivano diversi anni in più rispetto a quelli che aveva. Descrivere un lutto è come cercare di riempire con le parole un vuoto dentro cui tutto svanisce. Una voragine che si allarga sempre di più, anno dopo anno, lasciandoti inerte, in compagnia di un dolore che è sempre con te. Un dolore che non ti lascia neppure quando sembra andar tutto bene e la giornata sembra lieta, hai la forza di sorridere e la testa è presa da pensieri felice. Basta un secondo e quel dolore lo ritrovi in un dettaglio che ti riporta irrimediabilmente all'assenza. Da adesso in avanti, lui avrebbe avuto davanti ai propri occhi qualcosa che lo avrebbe riportato a quell'assenza con una brutalità tale da mozzargli il fiato.

Qualcosa che rendesse piacevoli questi sette anni, Silente?

Evaline Rosier era stata per lui mera distrazione, un appiglio che la vita gli aveva messo davanti in modo beffardo, quasi ad offrirgli una salvezza che lui non meritava. Una tortura. Una costante visione di come avrebbe potuto essere facile la sua esistenza se avesse ceduto a quel corpo che gli veniva regalato così, un dono ad un dio crudele. Se avesse scelto di tenere per sé Evaline, probabilmente l'avrebbe consumata e resa lo spettro di ciò che era. Lei non era Lily e, prima o poi, l'avrebbe capito. Tanto valeva respingerla come aveva fatto, risparmiandole una pena che lui non aveva voglia di gestire.

Ritrovarsela tra i piedi sarebbe stato un fastidio, ma nulla più. Dubitava che dopo tutti quegli anni sarebbe rimasta la stessa di un tempo. Era assai probabile che si fosse sposata, che avesse un figlio o due e che quel lavoro si sarebbe presto rivelato inutile, una perdita di tempo e galeoni.

Giunto in Sala Grande venne accolto dai professori appena arrivati, quasi tutti eccitati all'idea di accogliere il bambino che è sopravvissuto. Lei non era presente e con una punta di speranza immaginò che fosse stata colta da un ripensamento. Invece, Evaline giunse in ritardo, proprio quando i professori ebbero preso posto e gli studenti ordinati tra le quattro tavolate, con il cappello parlante posto al solito sgabello in attesa dei ragazzini del primo anno. Non c'erano farfalle al suo seguito, né falene o buffonate che era solita esibire quando le sue emozioni prendevano il sopravvento. Non c'era traccia dell'antica goffaggine, ma sul volto era presente un velo di rossore e un sorriso di scuse rivolto a tutti e nessuno. Puntò il preside, la sentì mormorare il motivo del suo ritardo e lui sorrise con leggerezza, dandole una pacca sulla spalla.

«Oh, cara.» La professoressa McGonagall l'accolse con garbo, mentre la professoressa Sprout si concesse un abbraccio arruffa vestiti. Piton stava ascoltando Quirrel e i suoi balbettii, ma con la coda dell'occhio sbirciava Evaline e i cambiamenti su di lei. Ad una prima occhiata sembrava semplicemente un po' più alta, ma c'era anche pienezza lì dove la magrezza l'aveva martoriata gli anni della scuola: la stoffa dell'abito tirava parecchio sui fianchi, le linee morbide e femminili erano valorizzate da un corpo florido e sano. L'eredità dei Rosier fioriva su di lei in un vestito riccamente decorato sugli orli delle maniche strette e sulla gonna che si allargava a ruota verso il pavimento, in una stoffa azzurra, preziosa. Non aveva gioielli al collo nudo, il petto dallo scollo castigato era nudo, la pelle arrossata per la corsa e la fatica.

«Lei è...l'in-insegnante nu-nu-nuova.» Fece Quirrel, un sorriso nervosetto mentre sbirciava la direzione dello sguardo di Piton. «La c-c-c-conosci, Se-Severus?»

«Studiava qui.» Tagliò corto l'uomo, cercando di non seguire i movimenti di Evaline, che con passo meno insicuro di un tempo andava al proprio posto, dalla parte opposta della tavolata. Non guardò mai nella sua direzione, presa in apparenza dall'arrivo degli studenti del primo anno. L'uomo aveva avuto il tempo di accarezzarle il profilo in un'occhiata fugace, prima di dedicarsi allo smistamento. Abbot, la prima. Man mano che fluivano in direzione dei nuovi compagni finalmente lo vide. La somiglianza era tanto fedele da attorcigliargli le budella in un dolore nauseante, un odio che riuscì a contenere a stento. Forma del viso, naso, occhiali, i capelli orrendamente spettinati, la statura era la stessa di James al suo primo anno e se non fosse stato per la cicatrice sarebbe stato identico. Mentre Quirrel balbettava le sue idiozie, Harry volse lo sguardo verso quello di Piton, mostrandogli quel dettaglio, quell'unico fondamentale dettaglio che lo rendeva degno d'essere protetto. Il disgusto divenne dolore e il tormento fu tale che il viso ne rimase in qualche modo colpito. Non mostrò altro se non pallore e gelo, sostenne lo sguardo per una manciata di secondi, per poi riprendere a parlare con Quirrel.

Dio, quanto avrebbe volentieri ammazzato Quirrel. I tempi del sectumsempra sembravano finiti, però.

Cenò a stento, rimase a tavola per tutto il tempo necessario, per poi sgattaiolare via come un ladro appena il pasto venne portato via. Mentre si allontanava furtivamente ebbe un'ultima fugace visione di Evaline che si alzava dal tavolo a sua volta e lanciargli un'occhiata che lui si sentì addosso mentre si lasciava tutto alle spalle. Dopo anni di gelo e di nulla, Piton stava ricevendo tutto in una volta con la veemenza di uno schiaffo inaspettato. 

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