Capitolo 13

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«Sudicia cagna.» Evaline se lo lasciò sfuggire a denti stretti, costringendo Severus ad abbandonare il calice e guardare in tralice la moglie seduta al suo fianco, che fissava Dolores Umbridge entrare in Sala Grande.

«Frena la lingua, cara.» Le sussurrò a metà tra il sorpreso e il compiaciuto. «Non è passato neanche un mese dall'inizio della scuola, non crollare adesso.»

«Sevizia gli studenti.»

«Una piccola pena corporale, sì.» Convenne. «Non sto dicendo che approvo, sta' calma.»

«I genitori devono essere informati.»

«I genitori sono principalmente babbani o ricoprono posizioni che il rospo può compromettere.»

«Sì, ho notato l'assenza di purosangue tra i perseguitati.»

Smisero di parlottare quando la donna prese posto accanto ad Evaline, rivolgendo a lei e Severus un ampio sorriso. Trascorsero pochi secondi, il brusio della Sala Grande accompagnato dal tintinnare delle posate, quando la voce di Dolores Umbridge tornò a pungolare Evaline. La donna si armò di un'espressione docile, tendendo l'attenzione sulla collega.

«Marito e moglie riescono anche ad essere dei colleghi efficienti?» Sulla faccia da rospo c'era il suo solito sorriso zuccherino ed Evaline si chiese com'era possibile odiarla ancora di più.

«Sembrerebbe di sì.» Rispose Evaline, gettando un'occhiata a Severus che, al suo fianco, si mostrava disinteressato al loro scambio di battute. Continuò a mangiare, ignorandole.

«Nei prossimi giorni esaminerò la sua materia, signora Piton.» La informò con noncuranza. «Spero non sia un problema, è giusto una mera formalità.»

Le viscere di Evaline si contorsero nello sforzo di mantenere l'espressione calma e pacata, così come il sorriso appena accennato fu spesso sul punto di crollare. «Nulla da obiettare, Dolores.»

«Oh, possiamo chiamarci per nome, cara?» La voce zuccherina nascose un avvertimento e l'altra non riuscì a trattenersi e usò la carta che aveva sperato di non dover usare.

«Ha ragione, signorina Umbridge.» Sorrise, il sorriso più adorabile che riuscisse a costruire. Fu quasi tentata di voltarsi e mostrare quel capolavoro a Severus, ma era certa che non si stesse perdendo una sola sillaba del loro scambio di battute. «Avevo l'abitudine di preferire i nomi ai cognomi anche da nubile. Essere chiamata Rosier mi metteva a disagio, capisce? Ma è giusto mantenere un certo distacco, è giusto non...mischiarsi facilmente.» E con un sorriso tornò alla propria cena, ma riuscì comunque a catturare il pallore dell'altra, che per un attimo rimase interdetta, forse furiosa per essersi persa quel dettaglio.

«Severus, caro, abbiamo tempo per passeggiare un po' prima dell'inizio delle lezioni?» Usò una voce sdolcinata, ancora preda dell'interpretazione portata avanti fino a quel momento. Percepì un'ondata di divertimento passare sul volto dell'uomo, che curvò la bocca in un ghigno distratto. Annuì, terminando quel poco che restava della sua colazione, per poi alzarsi e porgere il braccio alla moglie. Il tutto sotto lo sguardo avido di Dolores Umbridge.

«Con permesso.» Sciorinò un altro sorriso alla donna, per poi raccogliere il braccio dell'uomo e avviarsi verso l'esterno senza voltarsi indietro. Camminarono lungo la fila di tavoli trattenendo a stento un sorriso soddisfatto, che esplose in una mezza risata dopo che le porte furono chiuse dietro di loro.

«Impudente.» Le disse con forzato tono di rimprovero. «Sfoggiare il tuo nome come il peggiore dei purosangue.»

«Devo trarre dei vantaggi, no?» Ancora divertita, marciò con lui verso l'esterno, sbirciando il cielo plumbeo con più leggerezza. «Ho appena cominciato, comunque.»

«Non forzare la mano, ha il potere di licenziarti.»

«Non ho ancora giocato la carta Narcissa.»

Lui storse le labbra, guardandola con finto sospetto. «Sempre peggio, mia piccola spudorata.»

Trascorsero altre settimane prima che Dolores Umbridge si decidesse a valutare la materia di Evaline, riducendosi a ridosso delle feste per chissà quale ragione.

Per indagare su di lei, forse?

«Mi dica, cara.» Usò per lei i modi più zuccherini del suo repertorio, aggirandosi tra gli alunni del primo anno con penna e pergamena già sfoderate. «Che risultati ha ottenuto, la sua materia? Per quale motivo il Ministero dovrebbe investire su di lei?»

«Credo che parlino i risultati, professoressa.» Fece lei, lasciando agli studenti piena libertà di tornare ai propri fogli di pergamena, su cui si chinarono per elaborare alcuni disegni. Non c'erano banchi nell'aula, né una cattedra. Ogni ripiano era condiviso senza un ordine, le pareti bianche venivano riempite dagli studenti del primo anno, che vi dedicavano del tempo ad ogni lezione. Una parete era già stata riempita da creature, piante e personaggi diversi, che si muovevano in un'improbabile accozzaglia di stili e tratti che contrastavano, ma che allo stesso tempo parevano perfetti per quel luogo.

«Non è un esercizio all'uso della bacchetta, riesce a far emergere il punto di forza di ognuno di loro e io lo comunico agli insegnanti che li seguiranno durante i sette anni di scuola.» Fece una pausa, notando il sorriso divertito dell'altra, che appuntò ogni parola con ritrovata soddisfazione. «Ho sviluppato la capacità di cogliere indole e personalità, mi è utile per indirizzarli nella scelta delle materie future.»

«La sua capacità è notevole.» Cinguettò l'altra, sollevando lo sguardo su di lei come se volesse mettere in discussione ogni cosa. Poi, divertita, aggiunse: «Sarebbe in grado di capire anche un adulto?»

«Con gli adulti è complicato.» Rispose asciutta, ma senza scomporsi. «Crescendo maturano aspetti diversi e contradditori, individuare chi c'è dietro una facciata è difficile. Non impossibile, sia chiaro.»

«Benissimo, allora.» Sulle sue labbra si distese un sorriso più ampio, deliziato, quello di un rospo che ha appena acciuffato la sua preda ed è pronto a mangiarla. «Mi dica, su. Cosa vede quando mi guarda?»

Evaline esitò. «Non credo sia opportuno, professoressa.»

«Oh, andiamo. Un'insegnante della sua levatura ed esperienza non è capace di-»

«Benissimo.» Sorrise a sua volta, il sorriso più docile che riuscisse a mostrare. Parlava a voce abbastanza bassa da non essere udita dagli studenti, in apparenza impegnati a far svolazzare farfalle un po' storte e incerte. «Vedo una donna che mostra fierezza e sicurezza di sé, che cura il proprio aspetto in modo ineccepibile. Aspira alla perfezione, al controllo, studia la propria immagine nella speranza che non si noti...qualcosa di antico, forse risalente all'infanzia. Lei è...» Si soffermò sui suoi occhi freddi, prendendosi di coraggio e continuare senza provare alcun rimorso per i colpi inferti. «...una figlia minore, suppongo. Genitori e fratelli mediocri, banali, che lei cerca di coprire di lustro gettandosi nella carriera Ministeriale per sopperire all'incertezza del suo sangue.» Sì, c'era lo zampino di Narcissa nelle conoscenze acquisite, ma poco importava. «Umbridge, giusto? Non fa parte delle Sacre Ventotto.»

«Sono una Selwyn, da parte di madre.» Il sorriso era immobile, ma la voce vibrò di rabbia.

«Non di padre, però.» E, sorriso mesto, concluse: «Peccato.»

Intrecciò le dita dietro la schiena, mostrando un sorriso soave. «Devo tornare ai miei studenti.» Aggiunse con cautela, cercando di ignorarla mentre scriveva con ritrovata foga. «Ah...» La guardò da sopra la spalla, il sorriso ancora lì, sul volto gentile. «Conosce Narcissa Black? Credo che l'abbia nominata, giorni fa...»

«A me?» S'arrestò, la penna a mezz'aria. Evaline annuì, ma senza darle ulteriori spiegazioni tornò alla sua classe, ben consapevole che quel suo primo e unico atto di bullismo avrebbe avuto delle ripercussioni.

Però fu gradevole la sensazione di averla stropicciata un po'.

EvalineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora