Capitolo 4

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Tenere d'occhio Quirrel, intensificare le ronde per il castello, impedire a Potter di morire. Le ore di sonno erano diminuite, ma fu rinvigorito da quella routine che portava avanti con ferrea determinazione.

Apri gli occhi, richiudili, svuota la mente. Ormai era parte di lui, uno spesso strato di indifferenza lo separava dal resto del mondo, mentre tutto ciò che gli era rimasto di caro era sigillato con cura, protetto e difeso con ferocia. Conosceva Silente, sapeva che dietro gli sguardi rapidi che ogni tanto gli lanciava sperava di cogliere in lui un tentennamento, un barlume di sé che Piton non gli avrebbe mostrato.

Anche se, dovette ammetterlo, condividere quella parte di sé con lui era stato in qualche modo liberatorio. Un senso di leggerezza che aveva avvertito per un misero istante, prima di essere soffocato dal resto. Ogni giorno avanzava per i corridoi della scuola trascinando con sé il senso di colpa che aveva fissato sulle sue spalle. Oh, lo voleva quel senso di colpa. Lo voleva tutto.

Quirrel non si decideva a vuotare il sacco, perseverando in quella sua dannata recita che nessuno sembrava capace di smascherare. Era così facile ingannare il prossimo. Non c'entrava l'Occlumanzia, quella era per avversari davvero capaci. La realtà era che trovare la verità sul volto del prossimo era facile come respirare, per lui: bastavano un movimento dello sguardo, il tremore impercettibile agli angoli della bocca, l'irrigidirsi delle mascelle, il respiro troppo accelerato o rallentato, lo stesso di chi cerca di calmare il battito del proprio cuore.

Evaline era stata un libro aperto, per lui, e di rado aveva dovuto ricorrere alla legilimanzia per comprenderla. Ai tempi del suo settimo anno gli riversava tutto il suo amore acerbo, a tratti stordendolo tanto era sfacciata e priva di freni. Per un po' era diventato dipendente da quegli occhi adoranti, ne sbirciava i segreti con fame crescente e quando comprese di esserne ammaliato, smise di colpo. Non per pudore, non per riserbo. Non gliene importava nulla di invadere la sua mente con i suoi attacchi privi di ritegno. Aveva subodorato il fastidio che avrebbe ricavato da un crescente attaccamento da parte di lei. Le rare volte in cui gli era capitata una donna tra le mani, quella svaniva nell'indifferenza subito dopo. Una donna procurata da Lucius, un eccesso di goliardia degli anni in cui era più giovane, esperienze capitate per caso e che non aveva cercato. Volti dimenticati, presenze di cui non gli era importato nulla e che a loro volta non avevano avvertito il benché minimo interesse né attaccamento.

Evaline, invece, nell'innocenza della sua inspiegabile devozione nei suoi riguardi era pericolosa. Pericolosa perché sarebbe rimasta, perché lo avrebbe perdonato, lo avrebbe a modo suo reso più leggero, distraendolo dal compito che si era posto come obiettivo. Le ciarle di Silente sull'amore potevano andare a farsi benedire, alla malora lui e le sue buone intenzioni. Aveva assunto Evaline nella speranza di dare a lui una distrazione, poi? Dannato calcolatore, vecchio ipocrita. Se avesse provato lo stesso ardore di un tempo, cosa di cui lui dubitava, qual era il senso di immolarla a Piton come un agnello sacrificale?

Le settimane trascorsero ancora, giunse il Natale e il rampollo dei Malfoy fece infine ritorno a casa, concedendo a Piton un po' di tregua dalle lettere di Narcissa. Con la scuola così deserta, lui era libero di perseguire i suoi scopi senza distrazioni. Evaline non cercò la sua compagnia, lo salutava distrattamente, troppo presa dagli studenti per badare a lui.

Non ebbe bisogno di ulteriori conferme per capire che, grazie al cielo, si era liberata di lui. Fu un sollievo non sentire il peso delle sue sorti, un sollievo che riuscì a coprire il serpente che nelle sue viscere si contorceva.

Chiudi gli occhi, svuota la mente.

Libero da lei, libero da quella sciocca distrazione.

«...sì, alla fine tornò ad essere una capra.»

EvalineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora