Capitolo 14

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D'improvviso, un bimbo in fasce ebbe la meglio sul Signore Oscuro. Fu tutto così repentino e inaspettato da far piombare un senso di stordimento generale, seguito da festeggiamenti frenetici, esaltati, una gioia che invase il mondo magico ed esplose al grido: viva Potter!

Evaline si ritrovò nella Sala Grande e ci mise un po' a realizzare quello che era successo: la notizia era dilagata dai primi studenti che, ricevuto il gufo, avevano levato un mormorio che divenne urlo di gioia. I festeggiamenti della notte di Halloween reagirono secondo l'umore generale e ovunque le zucche danzavano, i pipistrelli piroettavano tra i tavoli e i fantasmi cantavano cori per il bimbo sopravvissuto. Nessuno dedicò un solo commento ai genitori periti nel tentativo di salvarlo, la gioia del momento non ammetteva una sola goccia di dolore. In molti tra quegli studenti avevano perso un padre, una madre, fratello, amico, conoscente. Tutti avevano avuto a che fare con paura e morte, ombre e orrori. Ma quei tempi ebbero finalmente fine e la contentezza fu irrefrenabile.

Stordita e gelida, Evaline cercò sostegno al tavolo degli insegnanti, dove all'appello mancavano Piton, McGonagall, Silente e perfino il guardiacaccia Hagrid. La Tassofrasso avrebbe dovuto gioire, ma qualcosa le si era rotto dentro e non riusciva ad attribuire la causa dello stato in cui si trovava. Doveva essere felice, no? Il Signore Oscuro aveva lasciato una scia lunghissima di cadaveri, una ferita che per molti non si sarebbe mai rimarginata. Lei, figlia di uno dei più noti mangiamorte della storia, fu preda di uno sgomento nauseante.

Improvvisamente il volto del padre affiorò nella sua mente, più nitido che mai: bello, bellissimo, un angelo biondo che pareva irradiare bontà e tenerezza ad ogni sorriso che le rivolse in quel ricordo.

Poi, buio.

Quando riaprì gli occhi il ricordo si era fatto sbiadito e lontano, il soffitto sopra la sua testa non era la volta stellata della Sala Grande, bensì quello dell'infermeria. Nessun compagno di scuola al suo capezzale, nessun conforto, nessun volto amico al di fuori del preside. L'uomo sembrava essere appena arrivato, occhi scintillanti dietro gli occhiali a mezzaluna.

«Ben svegliata, signorina Rosier.»

Lei accennò a tirarsi sui gomiti, ma lui le fece cenno di non muoversi. «No, resti comoda.» un sorriso gentile. «Ha trascorso due giorni in uno stato di semi-incoscienza. Madama Pomfrey l'ha accudita in modo impeccabile, suo zio Alastor viene informato costantemente circa il suo stato. È andato via giusto poco fa.» Una breve pausa, il tempo di prendere posto alla sedia vuota accanto al letto. La barba bianca era tenuta dentro una cintura di velluto, la tunica da mago scendeva con grazia fino al pavimento e sulla testa il cappello era inclinato appena. «Lei ha subito gli effetti della morte di lord Voldemort. Uno degli aspetti dell'incanto impresso su di lei le imponeva di servirlo una volta terminati gli studi. Se non fosse stato per l'intervento del professor Piton gli effetti sarebbero stati disastrosi.»

«Dov'è Severus? Non era tra gli insegnanti. Sta bene?» Il groviglio di tentacula velenosa si strinse nel suo stomaco e un paio di falene grigiastre svolazzarono via dal suo corpo stanco, svanendo in uno spruzzo di polvere evanescente.

Silente si perse in quel dettaglio che lei aveva a malapena notato, tornando nei suoi occhi come se potesse leggervi i segreti al suo interno. Le sorrise con inaspettata tenerezza. «Sta bene.» La tranquillizzò. «C'è molto trambusto, come potrai immaginare, lui sarà assente da scuola per qualche tempo.»

Le mani di lei strinsero le coperte in un senso di frustrazione che non scossero l'uomo, sempre pacato e rassicurante.

«Il mio consiglio è di dedicarsi alla quotidianità fino al suo arrivo. Lei è stata autonoma per anni, sono certo che sarà molto brava anche adesso. Vedo che ha preso colore e si è avvicinata ai suoi compagni di scuola. Non è mai tardi per stringere delle amicizie.»

Evaline annuì, incerta.

«Preside?»

Lui la guardò con la calma di sempre, il sorriso cordiale non accennava ad andarsene. Evaline si prese di coraggio e parò ancora.

«Un mangiamorte è capace di voler bene a qualcuno? Mio padre, sì...era quello che era. Ma ho dei vaghi ricordi in cui mi trattava con amore, sembrava fiero di me.»

L'uomo attese diversi istanti prima di rispondere, l'aria di chi stesse valutando bene cosa dire. «Si può essere capaci di compiere atti di perfidia e al contempo provare amore per qualcosa. Io non conoscevo suo padre, ma conosco un uomo che ha conosciuto oscurità e male, ne è rimasto invischiato per tutta la vita. Un uomo che sembrava perso per sempre, ma che alla fine si è tratto in salvo perché l'amore l'aiutato a fare la scelta giusta.»

Questo non rispondeva esattamente alla sua domanda, ma Evaline comprese che il preside non poteva sapere cosa avesse nel cuore Evan Rosier. Non chiese nient'atro, si limitò ad un timido cenno del capo in segno di saluto quando il preside si alzò, accompagnato da Madama Pomfrey che lo scortò fino all'uscita dell'infermeria. 

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