Capitolo 30

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«Dirò a Silente che non lo farò. Non posso.»

La voce di Severus arrivava da lontano, un ricordo annientato dalla stanchezza che l'aveva colta dopo quelle ore estenuanti, dolorose, un calvario culminato nel pianto. Quand'era cominciato quel supplizio?

Severus era entrato nei loro appartamenti, era furioso e, ancora più preoccupante, c'era del sangue sui suoi vestiti. Evaline non aveva udito una sola parola a proposito di Harry e del libro di pozioni che Severus pensava di avere tra i libri scolastici nel suo studio. Evaline seppe solo che l'istante in cui aveva visto del sangue sui vestiti del marito, l'orrore la colse come una crepa nel petto. Quando lui si era accorto della sua reazione, ecco che le andò incontro, provando a dirle qualcosa che lei non riusciva a ricordare. Dopo aver preso atto dello spavento e dell'orrore, Evaline aveva assistito impotente alla chiazza sul tappeto e il calore scorrere lungo le cosce. Sapeva che avrebbe partorito ad Hogwarts, non aveva mai avuto intenzione di far ritorno né a Villa Rosier né al San Mungo. Severus era contrario e contrariato, ma nell'ultimo periodo era sempre contrariato da qualcosa, oppresso dal peso che non osava dividere con nessuno.

Materializzare una donna incinta non era consigliabile, così come non lo sarebbe stato costringerla a vivere quei momenti distanti dal marito, ad angosciarsi per la sua sorte. Con l'avanzare della gravidanza era diventata ancora più apprensiva, attaccata a lui al punto da sentire le vertigini quando si allontanava. C'era un che di profetico in quel bisogno, come se l'orologio del tempo stesse battendo gli ultimi attimi da condividere con lui. Era capitato spesso che sognasse di una rimessa per le barche in cui lei era rinchiusa e urlava, piangeva, ma nessuno era lì per sentirla. Al suo risveglio, l'uomo faceva del suo meglio per calmarla, per darle sostegno e pace. Ma Severus aveva i suoi fantasmi a tenerlo sveglio, a togliergli l'appetito.

L'istante in cui le si erano rotte le acque, Evaline aveva cercato lo sguardo del marito e, tremante, aveva scosso il capo.

«Non sono pronta.» Boccheggiò, le dita strette contro gli avambracci dell'uomo, pallido e immobile davanti a lei. Stordito. «Non sono pronta, non ho...non ho preparato abbastanza vestiti, non sono in grado. Severus, fermalo, non farlo arrivare. Non adesso.»

Nonostante il pallore, Severus si mantenne fermo, incrollabile, un saldo appiglio a cui aggrapparsi.

«Sei pronta.» Gliel'aveva detto pronunciando quelle parole con la nitidezza di chi scaglia un incantesimo. «Sono qui.»

Non si allontanò neppure per avvisare Madame Pomfrey, richiamando Tulip per spedirla in infermeria il più rapidamente possibile. Evaline, frastornata e confusa, obbedì alle direttive di Severus che pareva rivolgersi a lei come si fa con uno studente: dando direttive, ordinando di sedersi, di camminare, di respirare. Ma ad ogni ondata di dolore, ad ogni gemito, ad ogni pianto il suo autocontrollo si incrinava, mostrando esitazione, pallore, un tentennamento nella voce.

«Non te ne andare.» Aveva pianto lei, l'ennesima fitta a tranciarla dall'interno. «Non te ne andare, non...»

Più lo implorava, più la voce dell'uomo si faceva bassa, distante, eppure presente in ogni desiderio che assecondava.

No, non me ne vado.

Sì, resto qui.

Glielo sentì ripetere fino allo stordimento, fino a quando gli effetti delle pozioni ebbero il sopravvento e la lasciarono fluttuare, in un luogo da qualche parte tra il suo corpo e il soffitto. Non badò più ai suoni, agli odori, né al pensiero stesso. Sarebbe morta, forse? Cosa sarebbe accaduto, se fosse morta? Il bambino sarebbe sopravvissuto a lei e cresciuto da un padre restio a volergli bene? Severus l'avrebbe amata, se fosse morta? Avrebbe detto ti amo al ricordo di ciò che era? Non l'avrebbe mai saputo, perché non era quello il momento in cui sarebbe andata via. Tornò al dolore, tornò alle dita strette contro il polso di Severus, immobile al suo fianco, gli occhi fissi sul suo volto.

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