Capitolo 9

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Scese dalla carrozza trainata dai Thestral. Riusciva a vederli, lei. Li aveva sempre visto e accettato quella verità senza porsi ulteriori domande, come sempre. Si era abituata a loro, così come si era abituata a percorrere i passi fino alla Sala Grande senza alcuna emozione nel petto, senza alcun desiderio di incontrare compagni o amici, incline com'era ad una solitudine studiata, misurata. Ignorò lo smistamento, lo sguardo fisso sul piatto vuoto davanti a sé, la voce della McGonagall che chiamava i ragazzini del primo anno che, tra applausi e fischi, venivano accolti nelle rispettive case. Non badò neppure alla voce del preside che annunciò i cambiamenti del corpo docenti, non finché non ebbe nominato l'insegnante che avrebbe sostituito Lumacorno. Non sollevò lo sguardo dal piatto, non subito. Fu cauta, limitandosi prima a sbirciare con la coda dell'occhio, furtiva e silenziosa. Poi volse il capo verso il tavolo degli insegnanti e lo vide. Intorno a lei i piatti cominciarono a riempirsi, il chiacchiericcio intervallato dai rumori delle posate fece da sfondo e nessuno badò né al suo respiro mozzato né al suo sguardo devoto e luminoso puntato sul professore di pozioni. L'uomo, scuro e arcigno, aveva mantenuto il cipiglio severo, il portamento rigido e un po' ricurvo come chi ha passato gran parte della sua vita sui libri. I capelli unti e neri ricadevano intorno al volto pallido e magro, sgradevole secondo i commenti di qualcuno intorno a lei. Evaline non toccò cibo per la durata della cena, ricordandosi di ingollare un paio di bocconi poco prima che i piatti sparissero nuovamente. Non ricordò neppure cosa ebbe trangugiato né le importava.

Non avrebbe dovuto aspettare altri due anni prima di rivederlo. Sarebbe stato fiero del lavoro che aveva fatto? Sapeva che era diventata prefetto?

«Evaline?»

Sorrideva distratta, gli occhi umidi, le guance rosse e l'aria persa di chi rifiutava di destarsi dal proprio sogno. Rupert, l'altro prefetto di Tassorosso, la stava fissando inebetito, evidentemente confuso dalla compagna che di rado aveva visto sorridere.

«Evaline, dobbiamo condurre gli studenti nella sala comune. La parola d'ordine, ricordi?»

«La...sì, la parola d'ordine. Cavoli cinesi.»

L'altro inarcò un sopracciglio, ma lei ormai era nuovamente padrona di sé. Avrebbe tentato di incontrare Piton dopo aver svolto le proprie mansioni di prefetto. Più volte gettò lo sguardo verso di lui mentre si lasciava la Sala Grande alle spalle, ma l'uomo non sembrava intenzionato a ricambiare le attenzioni.

Fu un'eternità il tempo trascorso a percorrere il corridoio che oltrepassava le cucine, i ragazzini non facevano che domandare, chiedere, riempirla di richieste infantili e irritanti. Rupert fu impeccabile come sempre e perfino comprensivo quando Evaline lo pregò di continuare al posto suo, farfugliando poche parole a proposito di qualcosa che aveva dimenticato in Sala Grande.

Saltò qualche gradino mentre si dirigeva in Sala Grande, dove alcuni studenti e alcuni insegnanti si erano attardati, ma né lui né il preside erano presenti. Tornò sui suoi passi, ancora indecisa su dove andare, finché non ebbe deciso di fare un tentativo ai sotterranei. Forse sarebbe passato dall'aula di pozioni, chi lo sa.

Nessuno. L'odore pungente dei reagenti stipati in ampolle e barattoli aleggiava nell'aria, i calderoni già posizionati sui posti assegnati agli studenti e nella penombra non si sentiva altro se non i suoni lontani di fantasmi di passaggio. Alcuni ritratti ammiccarono verso di lei, un paio di loro le intimarono di andare al proprio dormitorio, ma vedendo la spilla da prefetto decisero di non insistere troppo.

Era stanca, molto stanca. L'anno ancora agli inizi e lei era l'ombra di ciò che era un tempo. Vide il proprio riflesso su uno dei calderoni lucidi e fu complicato realizzare che appartenesse a lei quel volto scavato, i capelli rossi e scarmigliati chiusi in una treccia arrangiata senza alcuna cura. La divisa scolastica era in ordine, le pieghe della gonna scendevano impeccabili lungo le gambe ossute e la camicia abbottonata ai polsi sottili. Non aveva subito la maledizione dell'acne, almeno la pelle era morbida e liscia, ma tirata sul viso al punto da trasfigurare la sua espressione di un tempo, rendendola cupa, triste.

«Il mio incarico ha appena avuto inizio e già devo togliere punti?»

La voce di Severus Piton sferzò l'aria in un sibilo tanto inaspettato da farla sussultare. Persa com'era nella contemplazione della propria immagine, Evaline aveva rimosso il motivo che l'aveva portata lì. Ferma al centro dell'aula si voltò verso di lui, una mano stretta contro il bordo del tavolo quasi temesse di cadere via. Sulle sue labbra si modellò un sorriso incredulo, sollevato, felice e commosso insieme.

«Sei tornato, Severus. Sono...guarda, sono diventata prefetto.» Mostrò la spilla e lo sguardo dell'uomo se possibile si fece più duro.

«Buon per lei, signorina. Ciò non toglie che la mia aula non è...» disse altro, ma lei già non gli dava retta, un fischio le attraversò il cervello.

«S-signorina? Sono io. Sono...sono Evaline.»

«Temo di saperne meno di prima. Mi dica il suo cognome e farò in modo di ricordarmelo quando sottrarrò punti a Tassofrasso.»

«Rosier. Evaline Rosier. Davvero non ricordi?»

Qualcosa cambiò nello sguardo dell'uomo. La riconobbe in quell'istante e la sua immagine parve disturbarlo al punto da impedirgli di parlare per una pausa che parve infinita.

«Ora...ora ricordi?» Un sorriso tremante sulle labbra, la voce incerta e sottile come la punta di uno spillo. «Sono...sono cresciuta, sì. Sono la migliore del mio anno, sai? Forse riuscirò a diventare Caposcuola. Sta andando tutto come mi avevi detto di fare, presto sarò pronta per il Sig-»

«Zitta.» Le ordinò lui e con un gesto brusco le indicò la luce delle candele. Voleva vederla meglio. Lei obbedì, le sembrò incredibilmente facile seguire il suo volere, neanche fosse mossa da fili invisibili tenuti dalle sue dita. «Sei diversa.» Constatò poi. Se fosse positivo o meno, non lo disse. Lei aveva smesso di parlare e non osava dir nulla finché non le veniva concesso di parlare, così si limitò a starsene immobile sotto la luce. Gli sorrise con adorazione, gli occhi un po' sgranati e folli.

«Ho creduto...» La voce del professore era bassa e incerta, quasi spaventata. «...ho creduto che quell'incantesimo si sarebbe indebolito. L'ho sottovalutato. Sono stato...uno stupido.»

«Uno stupido? No, mai. Eri sicuramente il ragazzo migliore di Hogwarts. Gli altri perdevano il loro tempo in frivolezze, tu invece studiavi sempre. Un genio. Sì, un genio.»

«Avremo parlato sì e no...quante volte? Oh, sta' zitta, sciocca. Devo porre rimedio a tutto. Tutto.»

«Severus, in questi anni che tu...sì, mi sei mancato. Ma ho studiato sempre, sai? Non ho fatto altro, credimi. Non è esistito altro se non i libri che mi hai detto di procurarmi.»

Lui le intimò di tacere, era visibilmente furioso, ma non con lei. Forse.

«Professor Piton. Non prenderti confidenze che non devi, ragazzina. Comportati da studentessa e mantieni le distanze, non sono più un allievo di Hogwarts.»

«Professore. Sì, professore.» Annuì, era inebriata dalla possibilità di eseguire un ordine. «Devo continuare a studiare e obbedire. Pensa che sono pronta a diventare...»

«No, non lo sei. Adesso fila nel tuo dormitorio e lasciami il tempo di capire come rimediare a tutto. Tutto questo.»

Lei annuì, finalmente sollevata. Sarebbe andato tutto bene, adesso che c'era lui a guidarla da vicino. Si ripeté questa certezza fino allo sfinimento, ignorando quella parte di sé che, dal fondo del suo animo, aveva cominciato ad alzare appena la voce. Ancora troppo debole, ancora incapace di rompere l'involucro che l'avvolgeva.

EvalineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora