Capitolo 15

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Sirius Black continuava ad essere inafferrabile, ma i giorni trascorrevano comunque, ad Hogwarts. Le lezioni si alternavano tra loro e gli ci volle un po' per trovare un pomeriggio che fosse compatibile con gli orari di Evaline. Non che lei avesse questa mole di lavoro, le sue lezioni riguardavano solo gli studenti del primo anno, inoltre lui fece del suo meglio per trovare delle scuse che fossero abbastanza credibili. Infine, arrivò il giorno prestabilito e lui si pentì di aver acconsentito ogni istante che trascorreva all'ingresso della scuola. Si spostò all'esterno per evitare di essere visto da troppi studenti, ma anche lì c'era un viavai di ragazzini che di tanto in tanto gli lanciavano uno o due sguardi curiosi. Gli sembrò perfino che qualcuno ridesse, ma si convinse che si trattava della sua immaginazione. Faceva freddo, non era ancora tempo di neve, ma l'aria frizzante gli punzecchiava le guance.

Vide arrivare Evaline e per poco non fu sul punto di girare sui tacchi e piantarla lì, da sola, a chiedersi che avesse fatto di male per subire un trattamento simile. Non lo fece, però. Rimase a contemplare la cura che aveva messo per rendere i capelli delle onde perfette, calde, che alla luce parevano più biondi che rossi. Una mantella bordeaux era chiusa sul davanti da un nastro e scendeva fino a coprire parte del vestito di velluto che la fasciava fino ai fianchi larghi, per poi aprirsi in una mezza ruota fino alle caviglie. Lo affiancò subito, trottandogli accanto quando lui accelerò il passo, deciso a lasciarsi al più presto la scuola alle spalle.

«Ti ho fatto aspettare, scusa.» Ansimò per stargli dietro e, oltrepassata la soglia del cancello principale, gli tirò una manica in segno di protesta. «Non ci vede nessuno, Severus.» Lo ammonì con un'occhiata che di severo non aveva un bel niente. «E non ci sarebbe nulla di male, sai? Sono stata ad Hogsmeade con Minerva.»

«È diverso.» Sbottò. La professoressa McGonagall non sembrava fuori posto al suo fianco.

«Rallenta, per favore.» Si impose l'altra, quando un'ondata di gelo travolse entrambi. Sopra le loro teste volteggiavano le figure incappucciate dei dissennatori, mentre altre vagavano più avanti, lungo il sentiero che si inerpicava tra gli alberi per raggiungere Hogsmeade. Piton strinse le labbra e rallentò, avendo cura di stare al fianco di Evaline. Non tollerava che fossero così vicini a lei, ma quando fu sul punto di parlare, Evaline tirò fuori la sua bacchetta di legno dorato e invocò il suo patronus.

«Non permetterò a quegli stracci volanti di rovinarmi la giornata.» Sentenziò cocciuta, mentre un'enorme figura grassoccia volteggiava a pochi passi da loro. L'uomo la riconobbe un istante dopo, quando la foca parve nuotargli davanti al naso, osservandolo con gli occhi grandi e dolci, l'aria pacifica e il muso che pareva sorridere. Poi si voltò di scatto e nuotò più veloce davanti a loro, schiudendo una bocca piena di denti che le fece perdere di colpo tutta la dolcezza di poco prima.

«Meglio, no?» La sentì dire, sul volto un'espressione soddisfatta. La guardò e prese atto di una verità di cui era sempre stato a conoscenza: Evaline era dolce, una tenerezza intrisa nel suo sorriso, nei suoi gesti, nella forma degli occhi grandi ed espressivi; eppure, aveva dimostrato ferocia e coraggio, se stuzzicata. Un sorriso distratto lo colse di sorpresa e lei, vedendolo, fu incoraggiata a compiere un gesto più audace. Provò a prendergli il braccio.

Non appena ebbe sfiorato il tessuto che ricopriva il marchio nero, Piton si scostò con tale impeto da farla sussultare. La vide sbiancare, anche, terrorizzata all'idea di aver osato troppo. Stava già per avanzare delle scuse, quando lui si affrettò a correggere i suoi pensieri. «L'altro braccio. Prendi l'altro.»

Lei parve confusa, ma il pensiero del marchio dovette balenarle nella testa, perché d'un tratto annuì e andò sul lato destro, cingendogli il braccio con entrambe le mani. Un gesto meno spontaneo, adesso, che compì avendo cura di non gravare troppo su di lui.

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